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Ciao Massimo


12 Ottobre 2022 / Nando Piccari

Molti sarebbero stati gli spunti, raccolti in questi giorni, sui quali incentrare il mio “quasi settimanale” corsivo.
A cominciare dalla sadica gioia (non sembri una contraddizione) che mi ha procurato la caterva di insulti e maledicenti auguri ragliati dalla tribù no-vax in risposta all’articolo dello scorso numero.
O dal fondato timore che, visto il preludio, a farla da padrona nel preannunciato congresso del PD sia ancora una volta “la sindrome Tafazzi”.

Per non parlare della comica sceneggiata in cui si è esibita la minoranza consiliare a Riccione, che forte di un altrettanto comico assist fornitole da un sindacato carabinieri che già sente odor di Meloni, è arrivato a chiedere le dimissioni dell’Assessore Oreste Capocasa, “reo” di non essersi adeguato alla lentezza di certe autorità istituzionali nel mettere mano ad un’attività finalizzata all’ordine pubblico. Cosa, questa, che come riconoscono i Riccionesi seri, ha rivoltato come un calzino la situazione lasciata in eredità dal duo Tosi-Raffaelli.

Mi sarebbe pure piaciuto prendermela con l’anticostituzionale “dittatura informatica”, pubblica e privata, che non solo rende cittadini di serie B quanti non sappiano o non vogliano districarsi con disinvoltura fra algoritmi, app, password e spid, ma arriva addirittura alla mostruosità di licenziare via computer un rider che non aveva risposto “presente” alla mail del plurigiornaliero controllo effettuato dall’azienda. Nonostante il povero ragazzo avesse una giustificazione incontestabile, essendo nel frattempo deceduto.

Avrei pure avuto la tentazione di scrivere qualche riga a commento della “partita di ritorno” intentata dalla Procura su Aeradria, per il comprensibile desiderio almeno di attenuare “la figurina” fatta all’andata. Avendo nel contempo trovato anche il modo di raccogliere gli alti lai contro la passerella sul Marecchia, provenienti da certa Intellighenzia Borghigiana, di una parte della quale sarebbe interessante capire “come sia messa” riguardo al vincolo fluviale.

Ma niente di tutto questo oggi succederà, poiché il cuore e la mente sono monopolizzati dal dolore e dal senso di solidarietà verso il ragazzo, le quattro ragazze, l’educatrice e il mio amico Massimo, deceduti in quel terribile e maledetto incidente.

Di Massimo Pironi si è giustamente detto e scritto tanto in questi giorni, al punto che diventa quasi impossibile aggiungere qualcosa di ulteriore.

Con una metafora calcistica, il suo concittadino Carlo Andrea Barnabè ha scritto in un articolo sul Carlino: «Massimo Pironi era un mediano, non un fantasista. Lo accusano di non avere la stoffa del goleador».

Rimanendo in tema, credo sia giusto dire che Massimo era in realtà un centrocampista, disposto a correre in ogni parte del campo in cui ci fosse bisogno. Certo, «non era Maradona», come aggiunge Barnabè (ma da un po’ di tempo a questa parte, chi può esserlo in politica?), ma di gol ne ha fatti e fatti fare parecchi, non solo per il suo prestigio, ma anche per la sua città e per il suo partito.

E quando un allenatore improvvisato e presuntuoso lo ha cacciato dalla formazione (aprendo così la strada alla serie B, dove il PD sarebbe poi rimasto per molti anni), Massimo non ha appeso le scarpette al chiodo, ma ha cercato una nuova squadra con cui giocare in un altro campionato. Mettendoci la passione e l’abnegazione di sempre. Nel mio incasinatissimo archivio fotografico ho trovato la foto qui pubblicata.

A priva vista potrebbe apparire un’esibizione di settarismo ideologico, con quel Che Guevara in mano. Ma non è così.

Eravamo nel 2003 e in mezza Europa veniva esibita la bandiera della pace contro la guerra in Iraq. Anche molti Enti Locali cominciarono ad esporla, suscitando prima il pachidermico livore dell’onorevole sfasciacarrozze Giovanardi, poi una direttiva del Governo Berlusconi ai Prefetti, affinché lo impedissero d’autorità.

Io l’avevo sia esposta alla finestra del mio ufficio, che piazzata all’interno, a fianco dell’ingrandimento incorniciato della famosa foto di Berlusconi che fa le corna alla fine della conferenza dei Capi di Governo Europei (alla sinistra della mia barba si intravvede una porzione dalla…mano cornuta). E in una dichiarazione ai giornali mi ero lasciato andare alla guasconata di dire che per toglierle avrebbe dovuto venire di persona Giovanardi.

Non ricordo il motivo per il quale Massimo venne quel giorno nel mio ufficio. Dove sul tavolo delle riunioni stazionavano il calendario e un’altra serie di gadget con l’effigie del Che, che un’amica non di sinistra mi aveva portato da Cuba, memore delle mie velleità rivoluzionarie giovanili.

«Dai, facciamoci una foto anche con Che Guevara, poi la mandiamo a Giovanardi che così s’incazza ancora di più», disse ridendo Massimo, mentre chiamavamo Adele perché venisse a riprenderci.
Sì, perché quando si fa politica con passione e dedizione, qualche volta ci si può anche divertire.

Nando Piccari