Quando fame, epidemie e clima facevano strage in Romagna
6 Agosto 2018 / Paolo Zaghini
Eraldo Baldini, Aurora Bedeschi: “Il fango, la fame, la peste. Clima, carestie ed epidemie in Romagna nel Medioevo e in Età moderna” – Il Ponte Vecchio
Eraldo Baldini, ravennate, nato nel 1952, è da tempo uno scrittore affermato, per lo meno dal 1991 quando vinse il primo premio al Mystfest di Cattolica con il racconto “Re di carnevale”. Nei suoi romanzi e racconti coniuga «gotico rurale», noir e horror in una vena originale, “perché Baldini è riuscito a trasportare un genere tipicamente anglosassone e (negli autori moderni) tipicamente cittadino, nei panorami familiari della campagna romagnola” (da Wikipedia).
Ma per l’editore Il Ponte Vecchio di Cesena ha ritirato fuori i suoi studi in antropologia culturale ed etnografia, dando così alle stampe negli ultimi anni ormai una decina di titoli tutti dedicati alla Romagna: da “Tenebrosa Romagna. Mentalità, misteri e immaginario collettivo nei secoli della paura e della ‘meraviglia’” (2014) a “I riti del nascere in Romagna. Gravidanza, parto e battesimo in una cultura popolare” (1991 e 2016), da “Calendario e tradizioni in Romagna. Le stagioni, i mesi e i giorni nei proverbi, nei canti e nelle usanze popolari” (2016) a “Prima del liscio. Il ballo e i balli nella vecchia tradizione della Romagna” (con Susanna Venturi) (2017), da “Fantasmi e luoghi stregati di Romagna tra mito, leggenda e cronaca” (2017) a “Sotto il segno delle corna. San Martino, la festa dei becchi e lo ‘charivari’ in Romagna” (2017).
In questa nuova pubblicazione, uscita qualche mese fa, gli Autori grazie ad un lavoro accurato su tutte le fonti documentarie esistenti in Romagna, ricostruiscono le relazioni fra clima, alimentazione ed epidemie nei secoli che vanno dal V al XVII: “Le popolazioni stremate dalle crisi alimentari, dalla carestia o dalla cronica denutrizione, da un basso livello economico e di vita che implica precarie condizioni abitative ed igieniche hanno anche, normalmente, una bassa qualità della salute, risultando più esposte al rischio di malattie ed epidemie e meno forti e reattive nel combatterle”.
La pestilenza del 1348 falciò un terzo della popolazione europea: su 100 milioni di abitanti europei ne morirono oltre 30 milioni. Quella del 1629, raccontata da Alessandro Manzoni ne “I promessi sposi”, uccise 1.100.000 cittadini dell’Italia centro-settentrionale su un totale di 4 milioni. A Rimini, in entrambe le pestilenze, i morti furono molte migliaia.
Il terrore fra gli abitanti dei centri urbani (perché pestilenze ed epidemie in genere furono piaghe principalmente cittadine) era dato in primis dalla peste: “Il tasso di letalità, in mancanza di cure adeguate, oscilla fra il 60 e l’85 per cento, e sopravviene il decesso in media dopo 5 giorni di malattia”. La prima epidemia di peste che colpì la Romagna fu la “peste di Giustiniano, che si diffuse nel VI secolo d.C.”. Nelle epidemie “verosimilmente non furono i topi a fungere da veicoli del contagio, ma i pidocchi che vivevano sul corpo e negli indumenti umani”.
E poi subito dopo venivano il tifo petecchiale (diffuso all’uomo dai pidocchi), il vaiolo (che colpiva quasi esclusivamente soggetti in età infantile o giovanile), la sifilide (comparsa verso la fine del Quattrocento e proveniente probabilmente dal Nuovo Mondo scoperto da Cristoforo Colombo), la malaria (presente in Italia fin dall’antichità).
Baldini e Bedeschi raccontano, secolo per secolo, per ogni zona della Romagna gli avvenimenti climatici, le epidemie, le carestie, l’andamento demografico, le produzioni agricole. E’ nel 1300 che si avverano alcune delle situazioni più terribili per le popolazioni italiane: “La densità della popolazione e l’inurbamento accresciutisi nella precedente fase espansiva, inoltre avevano anche creato le premesse per una più facile e rapida diffusione delle epidemie: allo sviluppo demografico e commerciale dei secoli XI-XIII non avevano fatto riscontro progressi sostanziali nell’igiene pubblica e privata, e tanto meno nelle conoscenze mediche, mentre ormai lo sviluppo intenso delle comunicazioni costituiva un veicolo poderoso di diffusione di microbi”.
Per raccontare l’epidemia bubbonica del 1348 a Rimini gli Autori ricorrono al testo di Cesare Clementini (1561-1624) “Raccolto istorico della fondazione di Rimino e dell’origine e vite de’ Malatesti”scritto fra il 1617 e il 1627 (ristampato in 2 volumi nel 1969 dall’editore Forni di Bologna). Clementini racconta che fra il giugno e il novembre 1348 solo a Rimini vennero sepolte 2.400 persone. Ma gli Autori ricorrono costantemente al racconto del Clementini per descrivere i fatti riminesi attinenti ai temi trattati. Come del resto usano ampiamente l’opera di Luigi Tonini (1807-1874) e del figlio Carlo (1835-1907) “Storia civile e sacra riminese” edita fra il 1848 e il 1888 (ristampata in 7 volumi dall’editore riminese Bruno Ghigi nel 1971).
Tonini registra nel 1529 a Rimini la morte di oltre 3.700 persone a causa della carestia e della pestilenza e “molte altre subirono la stessa sorte nel contado”.
Quello che gli Autori sottolineano è che al di là dei picchi di mortalità della popolazione per le epidemie più gravi, il territorio romagnolo è costantemente sottoposto, fra Tre e Seicento, a ricorrenti calamità (naturali, sanitarie, economiche) che ne condizionano pesantemente la crescita demografica e il benessere economico.
L’ultima epidemia di peste in Romagna è quella “manzoniana”, sviluppatasi fra il 1629 e il 1632. “Fu una delle più terribili epidemie che interessò il nostro Paese in Età Moderna”.
Il libro ha avuto una sponsorizzazione importante da “Romagna Acque – Società delle Fonti”, proprietaria di tutte le fonti idriche romagnole, perché, come scrive nella Presentazione il suo Presidente Tonino Bernabè, se il clima è uno dei temi principali trattati nel libro è però “l’acqua lo strumento primo e potente con cui esso [il clima] ha determinato vita o morte, benessere o sofferenze, malattie o salute: acqua che, quando è mancata per siccità o ha ecceduto in abbondanza per dissesti e inondazioni, ha condizionato, come condiziona tutt’ora, tante aree del pianeta, il potere, le guerre, l’economia, la cultura. Essa ha determinato il quotidiano e il futuro di intere generazioni le cui sorti sono state, come lo sono ancor oggi, strettamente legate e dipendenti dall’armonia delle condizioni naturali tra l’acqua, appunto, la terra e l’uomo”.
Paolo Zaghini