HomeCulturaQuando l’unico calendario era quello della natura


Quando l’unico calendario era quello della natura


2 Gennaio 2017 / Paolo Zaghini

Eraldo Baldini – Giuseppe Bellosi: “Calendario e tradizioni in Romagna. Le stagioni, i mesi e i giorni nei proverbi, nei canti e nelle usanze popolari”.Il Ponte Vecchio

A distanza di oltre 25 anni gli autori ripubblicano, ampliandolo ed aggiornando la ricca bibliografia, un corposo testo di quasi 400 pagine uscito la prima volta nel 1989. Un testo affascinante dove antropologia culturale, etnografia, studio dei dialetti e delle tradizioni popolari della Romagna si uniscono e si fondono dando vita ad un saggio gradevolissimo nella lettura.

Nel volume sono raccolti proverbi, canti, racconti riguardanti il ciclo dell’anno contenuti in opere a stampa, suddivisi per i 12 mesi dell’anno. Il ciclo dell’anno, scandito dall’avvicendarsi delle stagioni e dall’alternarsi di tempo del lavoro e tempo della festa, influenzava, fino ad un recente passato, il modo di vivere, di essere e di pensare dell’uomo. Anche gli eventi climatici condizionavano fortemente l’attività umana, in gran parte incentrata sull’agricoltura e sull’allevamento.

Nella cultura popolare, le stagioni, i mesi e i giorni sono stati così oggetto e spunto di numerosi proverbi, indovinelli, filastrocche, favolette, canti, che da una parte ne celebrano le caratteristiche mitico-rituali, religiose e culturali, dall’altra ne enunciano le particolarità concrete e materiali e servono quindi a trasmettere e a memorizzare un vero e proprio vademecum per lo svolgimento delle attività agricole e pastorali, per le previsioni meteorologiche, ecc.

“Misurare il tempo, come misurare lo spazio, è stata da sempre una delle necessità primarie delle società umane”. “L’avvicendarsi delle stagioni, dei cicli solari, delle fasi lunari, la periodica ripetitività dei fatti della natura, richiamano immediatamente ad una dinamica circolare del tempo. Ed in questo modo essa è stata a lungo avvertita da società che erano principalmente legate a modi di vita e di produzione strettamente condizionati dai ritmi della natura. La fine dell’anno veniva, in queste società, intesa e celebrata quindi come chiusura di un ciclo, annullamento del passato, e inizio di un nuovo arco di tempo che andava affrontato dopo riti di rinnovamento del tempo e di purificazione che liberassero dai mali, dai peccati e dai gravami del passato”.
E’ dunque dal capitolo dedicato al mese di dicembre che andremo a pescare vari detti in proposito:

E’ giaz prema ed Nadel / tu n’se quant ch’o vel.
Il gelo prima di Natale / non sai quanto vale.

Dicembre, t’at schèld davanti, t’at gìc didrì.
Dicembre, ti scaldi davanti, ti raffreddi dietro.

L’invérne / o mónda i vécc a e’ padretérne.
L’inverno / manda i vecchi al Padreterno.

Fena a Nadel o ngn’è né fred né fan, / dop fred e fan a volontà.
Fino a Natale non c’è né freddo né fame, / dopo freddo e fame a volontà.

Bisëstar o nò bisëstar, / l’ùtum dè l’è Sa’ Silvëstar.
Bisestile o non bisestile, l’ultimo giorno è San Silvestro.

Questi detti hanno riferimenti precisi legati all’agricoltura, alla vita quotidiana, alla salute. Un mondo quello contadino oggi scomparso ma che per millenni ha segnato le civiltà, compresa la nostra.

I testi nel libro sono disposti in ordine calendariale, spiegati e commentati: ne esce un affresco affascinante, di grande rigore scientifico e metodologico e, nel contempo, di facile e piacevolissima lettura.