HomeCulturaLa normalità del bene: i nostri eroi silenziosi da Bellaria a Cattolica


La normalità del bene: i nostri eroi silenziosi da Bellaria a Cattolica


10 Aprile 2022 / Paolo Zaghini

“I Giusti in Emilia-Romagna” A cura di Vincenza Maugeri, Caterina Quareni – Minerva.

Lentamente, molto lentamente, nel corso degli ultimi decenni sono emerse le storie di coraggio, di altruismo, di pura umanità a proposito del salvataggio di tante persone ebree perseguitate, con rischio di uccisione, fra l’8 settembre 1943 e la fine della Seconda Guerra Mondiale nell’aprile 1945.

Il libro, curato dalla direttrice del Museo Ebraico di Bologna, Vincenza Maugeri, e dalla responsabile dei progetti culturali e della biblioteca/archivio del Museo, Caterina Quareni, assembla queste storie, fornisce informazioni sui “Giusti” (persone normali non ebree che salvarono almeno un ebreo senza trarne alcun vantaggio personale) della nostra Regione. Un libro fondamentale per conoscere questo pezzo della storia della Shoah nelle nostre terre, quando la generosità umana prevalse sull’odio e la persecuzione razziale.

A partire dall’inizio degli anni Sessanta lo Stato di Israele, attraverso lo Yad Vashem, centro studi di Gerusalemme dedicato allo Shoah, rilascia il riconoscimento di Giusto fra le Nazioni ai non ebrei che, in modo disinteressato e mettendo a rischio la vita propria e dei propri cari, salvarono gli ebrei nei paesi europei occupati dai tedeschi.

Scrivono le Autrici nell’Introduzione: “Già da alcuni anni il Museo Ebraico di Bologna si dimostra particolarmente sensibile al racconto delle vicende di salvataggio che hanno portato al riconoscimento di oltre sessanta Giusti tra le Nazioni sul territorio della Regione Emilia-Romagna”.

E le Autrici ci dicono, sottolineandolo, che “ai piccoli paesi, teatro della maggior parte dei salvataggi, si è voluta dedicare una particolare attenzione: si tratta infatti di comunità complici nel dare aiuto e, di fronte al nemico rappresentato dall’istituzione fascista o dall’ex alleato tedesco, nel mantenere segreti che sono a conoscenza di tutti gli individui che le compongono”.

Dallo scoppio della guerra nel giugno 1940 all’8 settembre 1943 il governo fascista vara delle misure per l’internamento dei cittadini delle nazioni nemiche. Fra questi anche le persone ebree. Saranno circa 400 gli ebrei italiani internati fra il 1940 e il 1943. La situazione peggiora notevolmente dopo l’occupazione tedesca a seguito della firma dell’armistizio l’8 settembre 1943. In Italia nel settembre 1943 vi erano circa 33.000 ebrei tra cittadini italiani e profughi stranieri. “Per gli ebrei italiani la situazione muta in modo repentino e drammatico: fino a quel momento la persecuzione in Italia aveva riguardato i diritti, ma non la vita”.

La ricercatrice storica riminese, nonché collaboratrice del Museo Ebraico, Francesca Panozzo nel suo saggio all’interno del volume scrive: “Dopo l’8 settembre 1943, poche erano le possibilità che si presentavano davanti agli ebrei italiani: nascondersi, attraversare le linee del fronte per raggiungere gli Alleati o emigrare nella neutrale Svizzera. Quest’ultima rappresentò la salvezza per 4.265 ebrei in fuga dall’Italia”.

I tedeschi, sin dalla fine di settembre 1943, iniziarono a rastrellare e a massacrare ebrei italiani. E’ del 16 ottobre 1943 il rastrellamento operato a Roma dove furono arrestate e deportate oltre mille persone, nella quasi totalità uccise poi nei lager tedeschi.

“Ad aiutare gli ebrei furono persone diverse tra loro per sesso, età, estrazione sociale, non riconducibili a una fede religiosa o politica”. Al 1° gennaio 2020, Yad Vashem ha conferito l’onorificenza a 734 italiani, fra cui una sessantina di emiliano-romagnoli.

Sempre la Panozzo: “Dopo l’8 settembre l’Emilia-Romagna si trova nella parte di Italia per cui inizierà, da quel momento fino alla fine del conflitto, un periodo durissimo: per la presenza di infrastrutture ferroviarie, la regione diventa strategica per l’occupazione tedesca, tanto che vi viene collocato il principale Durchgangslager (‘campo di transito’) per la deportazione di ebrei e oppositori politici: a Fossoli di Carpi, sulla linea del Brennero (…). Inizia allora una fase molto pesante, caratterizzata da operazioni antipartigiane, rastrellamenti e stragi di civili. E’ in questo contesto che si dà la maggior parte dei salvataggi: dopo l’8 settembre è necessario per gli ebrei fuggire dalle proprie case, trovare documenti falsi e luoghi dove potersi nascondere”.

E’ quello che fecero a Bellaria (ma allora ancora Comune di Rimini) Osman Carugno ed Ezio Giorgetti, il Maresciallo dei Carabinieri e l’albergatore. Essi presero sotto la loro protezione 27 ebrei, divenuti poi 41, di origine jugoslava, scappati dal campo di internamento di Asolo. Creano una rete di contatti con colleghi della zona, con membri del clero e con elementi della Resistenza, che forniscono ai profughi un’ulteriore tutela. Giorgetti venne riconosciuto, tra i primi italiani, “Giusto” il 5 maggio 1964. Carugno il 14 aprile 1985.

Lo stesso fecero i ravennati Giuseppina Frignani con il marito Gino Muratori e il cattolichino Guido Morganti che nascosero e protessero, grazie all’aiuto di tante altre persone nella Vallata del Conca, le famiglie Finzi e Rimini. “La storia del salvataggio mai divulgata da Guido Morganti nemmeno ai parenti più prossimi e di cui era a conoscenza solo la moglie Ada, è divenuta nota grazie ai racconti autobiografici pubblicati da due dei salvati, all’epoca bambini, i cugini Cesare Rimini (‘Una carta in più’, Mondadori, 1997) e Cesare Moisè Finzi (‘Qualcuno si è salvato ma niente è stato più come prima’, Il Ponte Vecchio, 2006)”. Il 14 gennaio 2007 Gino e Pina Muratori, insieme a Guido Morgagni, sono stati riconosciuti “Giusti”.

Il 6 marzo 2014 il Comune di Rimini, con una cerimonia solenne, intitolò “Giardino dei Giusti” quella parte del parco XXV Aprile antistante il ponte di Tiberio, in occasione della Giornata europea dei Giusti.

Paolo Zaghini