Home___primopianoMa quel pesce con le ali non sarà stato di razza padùla?

Da Sgarbi a Tonini i trombati in Europa e nei Comuni


Ma quel pesce con le ali non sarà stato di razza padùla?


13 Giugno 2024 / Nando Piccari

La matematica, si sa, non è un’opinione. Ma se applicata alla politica, talvolta ci aiuta a farcela, un’opinione. Se non addirittura due, come in altrettanti casi derivanti dallo scrutinio delle elezioni appena concluse.

Primo caso: sommando le percentuali ottenute dalla Meloni (Fd’I 28,81) e dai suoi due accoliti, Tajani (F.I. 9,61) e Salvini (Lega 9), si ottiene il 48,4%. Che certo non è poco, ma comunque inferiore di oltre quattro punti rispetto a quel cumulativo 52,5% che sono state in grado di portare a casa le sei liste composte da formazioni politiche che si oppongono al Governo: Partito Democratico, Alleanza Verdi e Sinistra, Pace Terra Dignità, tutti i giorni; Movimento 5 Stelle, a seconda degli umori dell’umbratile Conte; Azione, ma solo quando Calenda si dà il consenso davanti allo specchio; l’ardita miscellanea radical-qualcosa di Stati Uniti d’Europa, a patto che Renzi sia quel giorno a far affari in Arabia Saudita.

L’opinione che ne consegue, almeno per me, è la seguente: si macchierebbe di bastardaggine, non solo politica, chi si sottraesse all’obbligo di mettercela tutta affinché, alle prossime elezioni politiche, quell’odierna maggioranza numerica si trasformi in un risultato che manda a casa Meloni e il suo clan.

Secondo caso: Fratelli d’Italia passa dal 26% delle politiche 2022 all’attuale 28,81.
Quel + 2,81 è un inconfutabile “regalo della matematica” che però fa a pugni con la sua “lettura politica”. Dalla quale ci deriva infatti la certezza che in realtà la Meloni perde rispetto a due anni fa circa 600.000 voti, perché la percentuale è proporzionalmente aumentata solo per effetto della sensibile diminuzione di votanti.

L’opinione che se ricava ha il sapore di una conferma. Dovuta al fatto che ad astenersi dall’enfasi dei complimenti e sorrisi televisivi per il trionfo semi-farlocco della cara Giorgia sia stato il solo Mentana, il che la dice lunga sulla vocazione marchettara delle Telemeloni di Rai e Mediaset.

Ci sono poi due cose di queste elezioni che credo abbiano divertito non solo me.
Una è la trombatura di Sgarbi con indosso l’ennesimo cambio di casacca.

Sì perché Sgarbi, nato politicamente monarchico, elettoralmente è partito accettando nel 1990 la candidatura del P.C.I. al Comune di Pesaro, poi fallita per avere egli contemporaneamente accettato anche quella del P.S.I., con conseguente annullamento di entrambe.

Dopodiché è iniziata la sua effettiva e variopinta carriera di candidato. Leggete tutto d’un fiato: Partito Socialista Italiano, Democrazia Cristiana+Movimento Sociale Italiano, Partito Liberale Italiano, Forza Italia, Unione Federalista, Lista Pannella-Sgarbi, I Liberal Sgarbi, Polo Laico, Lista Consumatori, Movimento per le Autonomie, Rete Liberal Sgarbi-Riformisti e Liberali, Partito della Rivoluzione-Laboratorio Sgarbi, Intesa Popolare, Rinascimento, Noi moderati, Fratelli d’Italia.

Da ridere pure la sceneggiata di Salvini che in conferenza stampa è riuscito a coprire con un sorriso e una battuta la bava alla bocca per il disastro che era riuscito a regalare alla Lega, cinguettandosi felice per aver raggiunto «l’obiettivo di uno “zero virgola” in più delle politiche 2022». E questo grazie alla X MAS che Vannacci ha sottratto ai non pochi Fratelli neofascisti che ancora l’adorano. Al che pare che il Presidente Giorgia sia sbottato in “A li Vannacci tua!”.

Dicono che al termine della conferenza stampa, quando Salvini ha aperto una finestra, molti degli altri capoccia leghisti presenti gli si siano avvicinati di corsa, temendo volesse buttarsi di sotto.

Venendo ai Comuni andati al voto nella nostra provincia, la soddisfazione, grande e pressoché generalizzata, mi è sfociata in goduria allo stato puro per effetto di qualcuno dei tanti bei risultati.

A cominciare da quello di Santarcangelo, dove Filippo Sacchetti, con quel 58,75%, ha innanzitutto garantito a quel Comune un Sindaco che, fascino a parte, riproporrà la bravura, la tenacia e la sensibilità democratica della sua predecessora, Alice Parma.
Ma Filippo ha fatto di più, dando generosamente anche una mano ai suoi avversari Borghini e Berlati, a superare i loro reciproci screzi.

Come qualcuno forse ricorderà, non c’era settimana in cui uno dei due non inveisse contro l’altro, con esternazioni del tipo: “Se fossi venuto in lista con me, avrei battuto Sacchetti già al primo turno. Invece così mi tocca aspettare il ballottaggio”. Con l’altro pronto a replicare: “Mettiti il cuore in pace, carino, che tanto al ballottaggio ci vado io”.

E che dire del successo di Mirna Cecchini a San Clemente?


Gli  avversari, conoscendo il grande consenso ricevuto dai suoi concittadini nel passato decennio da Sindaca e avendo capito quanto fosse velleitario sperare di batterla col voto hanno così tentato di provarci col “non voto”, lasciando cioè che fosse lei sola a candidarsi alla guida del Comune. Perché in questi casi, come si sa, la legge richiede due condizioni per risultare eletti: almeno il 40% di votanti e l’attribuzione al candidato o alla candidata del 50% + 1 di voti validi.

Non sarebbe stato difficile per Mirna indurre qualche persona di sua fiducia a mettersi a capo di una finta lista avversaria, che oltretutto, a prescindere dai voti ottenuti, avrebbe avuto la garanzia di tre consiglieri eletti. Ma lei ha voluto essere leale, con se stessa prima ancora che verso i cittadini.

Ad aggiungere un bel carico di emozione alla mia goduria è il risultato di Montefiore, che sento ancora come “il mio paese del cuore” a 12 anni dal mio forzoso auto-esilio… per ragioni di cuore.
Dopo un anonimo trantran troppo a lungo pervenuto dalle stanze del Comune, nel 2019 la saggezza dei suoi cittadini ha ridato a Montefiore un’Amministrazione Comunale condotta da una Giunta intraprendente e capace, aperta al confronto e al dialogo con loro, animata dalla voglia di affrontare a viso aperto le sfide che ogni giorno incombono su chi si dedichi al governo locale, soprattutto se nei piccoli Comuni.

A capeggiare “la baracca” sono due personaggi che, come suol dirsi, sembrano proprio “scelti nel mazzo”: il Sindaco Filippo Sica (oggi sbarbato) e il suo Vice Francesco Taini.

Spero di non apparire patetico confessando che la bravura loro manifestata in questi anni, il come siano riusciti a far crescere il paese affrontando le tante difficoltà con un mix di determinatezza, fiducia e ottimismo, mi riporta alla mente l’Amministrazione Comunale uscita inaspettatamente vincitrice nel 1990, la quale diede subito inizio ad una rinascita di Montefiore poi proseguita dalle due successive, sempre a giuda di Claudio Battazza.

Da sinistra in basso: il Vicesindaco Paolo Cipriani, il mio maremmano Fiocco, il Sindaco Claudio Battaza. In piedi: la nostra prima tifosa Cinzia Guidi, io e gli altri due Assessori, Giannino Ciotti e Roberto Gennari

A fianco di Claudio Sindaco era l’ancora più giovane e funambolico Paolo Cipriani, insieme a Giannino Ciotti e Roberto Gennari, che qualche tempo dopo Montefiore averebbe salutato per sempre. C’ero pure io, nel ruolo di… “babbo brontolone”, ma qui mi fermo perché l’emozione rischia di sconfinare in commozione.

Per rifarmi, concludo passando al voto di Misano.
Avevo conservato il finale di un articolo di Carlo Andrea Barnabè sul Carlino del 14 aprile: «Il caso Misano, ovvero l’alleanza rosso-verde tra un ex assessore comunista e i leghisti, è da manuale. Di psicologia più che politico».
Qualcuno dice che Tonini si sia fatto avanti in anteprima con il Pattito democratico misanese, come – sempre si dice – a Rimini nel 2021 e l’anno dopo a Riccione.

Ma non gli sarebbe stato difficile capire che il PD, pur apprezzando le capacità e i meriti suoi, non avrebbe certo potuto e voluto dare il benservito a Fabrizio Piccioni, un Sindaco capace e stimato, come anche gli elettori lo poi hanno giudicato.

Tonini si è così buttato nelle braccia di chiunque fosse disposto a vendicarlo, col risultato di ridursi a zimbello di qualche discepolo di Salvini, di quelli che “il Marcello di prima” avrebbe mandato  direttamente a quel paese.

Più che il suo programma elettorale, ha suscitato interesse il simbolo che ha dato alla lista, del quale quasi ogni sera si sentiva dibattere nei bar di Misano, per capire di che pesce si trattasse, se visto senza le ali.
“At deg clè un paganel”. “Mo valà, l’è una saraghina”. “E se foss un sardoun o una mazola”?

Poi a qualcuno è venuta però in mente l’analogia di quel coso con un animale immaginario oggi non più tanto citato per effetto dell’accresciuto grado di buona educazione: l’uccello padulo.

Internet ne ripete pari pari il senso e il testo della sua narrazione popolaresca:
«L’uccello padulo, che vola sempre all’altezza del culo. Si dice che sia sempre in agguato soprattutto quando situazioni all´apparenza facili (tipo una vittoria scontata) ti sfuggono dalle mani».
Diciamo allora che forse Tonini è riuscito a creare anche la variante ittica del “pesce padulo”.

Nando Piccari