Mario Magnani, indimenticabile gentleman del pugilato riminese
1 Giugno 2023 / Enzo Pirroni
Mi è capitato tra le mani il bel volume “La mia Rimini – Cent’anni di storia riminese”. I solerti, valorosi, compilatori del libro che, con attenzione hanno scrutato braccheggiandola e rapinandola da testi altrui, la storia sportiva della nostra città è sfuggito un nome: quello dell’ex pugile Mario Magnani.
Sia stata dimenticanza o sbaglio o negligenza oppure, si sia trattato di motivata esclusione, il fatto che il nome di Mario Magnani, non compaia nelle pagine dell’elegante volume edito da quei veri maestri stampatori che sono stati i fratelli Giusti, è omissione grave ed imperdonabile. Di tutti gli irripetibili atleti che formavano, nei primi anni ’30, la mirabile “colonia” riminese guidata con severo cipiglio fascista dal “maestro” Francesco Santarelli, l’ultimo ad andarsene è stato lui, che ha vissuto lievemente fino a novant’anni singolare ed incantevole gentleman, che ha mostrato ovunque cosa fosse l’arte del portar pugni, disquisendo di sport e di boxe in particolare, con l’amabilità di un malinconico principe ed attraverso le sue lucide rivisitazioni, noi, che amammo e, nonostante tutto, ancora amiamo il pugilato, abbiamo potuto rivivere le gesta dei vari Bosisio, Frattini, Jacovacci, Locatelli, Orlandi, Tamagnini, Bernasconi, Spoldi, Turiello, Bondavalli, Fiermonte, Musina e tanti altri.
Oggi, che sempre più prevale l’orientamento ad una superficiale lettura della storia e si tende ad obliare quello che fu, e ci si rivolge al passato con la cecità e la stolidezza senza cure di ingordi social climbers, una figura come quella di Mario Magnani non doveva e non poteva passare inosservata. Nella città dell’effimero, dove ebbri acrobati non scendono giammai dal loro trapezio, dove il lunare impasticcato pierrot compie ogni notte il suo incessante, eterno, vano pellegrinaggio, avvolto nel buio di un onanistico narcisismo, una persona seria, che non amava le inquadrature e rifuggiva i primi piani, una persona dignitosa ed indipendente, che non ristagnava nella compiaciuta oziosità ma che si è adoprata per tutta la sua lunga vita in favore dello sport, doveva essere onorevolmente omaggiata.
Un giorno forse, scriverò l’intera biografia di Mario Magnani, ma qui, per dissipare le zone d’ombra prodotte dalla disinformazione, per tacitare l’ignoranza ammiccante e maliziosa di improvvisati storiografi, cercherò di dire, in breve, quale pugile sia stato Magnani: era un gentleman degno della sorridente gentilezza di Jim Corbett, della glaciale cortesia di Gene Tunney e della naturale eleganza di Georges Carpentier. Era alto e smilzo. In piena forma pesava poco piu` di 150 libbre (oltre 68 Kg), troppe per essere un welter, troppo poche per combattere nei pesi medi. (La categoria dei super-welters non esisteva in quei tempi). Si misurò, per lo più, al limite delle 160 libbre ed in tutte le occasioni dovette concedere un non piccolo vantaggio ai suoi avversari.
Calzò per la prima volta i guantoni nel 1923, aveva appena undici anni. Ad insegnargli gli iniziali rudimenti fu Eolo Tassani che esercitava il suo magistero nella palestra dell’Unione Sportiva. A quindici anni, nel 1927, conquistò a Bologna, il Titolo Regionale dei Novizi, nei pesi piuma, battendo Carnazzani e sempre nella stessa categoria, un mese più tardi, a Modena, vinceva il Campionato Emiliano Dilettanti. Con queste premesse era iniziata una splendente carriera che lo vide impegnato in 350 incontri, di cui, 320 vinti, 20 perduti, 10 pareggiati.
La Romagna pugilistica, in quegli anni, era una vera e propria fucina di talenti. Oltre ai fortissimi riminesi: Rodriguez, Totti, Neri, Pandolfini, Montanari, Missirini, brillavano le stelle del ferrarese Angelo Vaccari, del “mosca” Cavagnoli, del bolognese Blasi, del reggiano Bondavalli, dei fratelli forlivesi Isidoro ed Alvaro Rusticali, con quest’ultimo, splendido e generosissimo combattente, Mario Magnani disputò, vincendolo, uno dei suoi più entusiasmanti match nel 1929. Anche il futuro Campione d’Italia, Cesare Desio, centrato con un colpo d’incontro alla mascella, finì sulla stuoia fino al conto totale. Proseguendo nella ricerca storica, procedendo di risultato in risultato, troviamo le vittorie su Buratti e sul forte Berretta di Monza nel 1930.
Nel 1931 sconfisse Marinelli e durante i Campionati Regionali, nella categoria dei pesi welter, in finale, distrusse Michele Marini di Cesena (un pugile, questo, che passò professionista nel 1932, e che ebbe una esistenza avventurosa, spesa per lo più in Africa Orientale. Il toscano Venturi, finì gambe all’aria nel 1932 e sempre in quello stesso anno, Mario Magnani si laureò Campione Italiano della Gioventù Fascista, (una manifestazione di altissimo livello che vedeva impegnati tutti i migliori dilettanti italiani). Questo successo gli valse la convocazione a disputare la Coppa Europa di Clubs che si effettuava in Germania.
Le occasioni di misurarsi su ring stranieri, per le vicende politiche di quegli anni, non erano frequenti, tuttavia al di là delle Alpi, ogni qualvolta Mario Magnani si trovò a combattere, seppe farsi onore. Sul ring, di Tois, in Francia, nel settembre del 1935, si trovò opposto a Jean Despeaux, un rude picchiatore che nel 1936, a Berlino sarebbe diventato Campione d’Europa. Ne sortì un incontro avvincente. Mario Magnani prevalse ai punti. Sono andato alla ricerca di quell’antica cronaca giornalistica, e su di una ingiallita pagina dell'”Auto” c’è scritto: “Ce jeune italien est la representation parfaite de la science pugilistique”. A esprimere questo lusinghiero giudizio era, nientemeno che Henri Desgrange, il vulcanico “patron” del Tour de France. Uno che non si sprecava in complimenti. Affrontò Luigi Musina, una vera star dell’establishment pugilistico nazionale, nel record del quale figurano addirittura alcune vittorie su Primo Carnera.
“Magnani – scriveva Sergio Gaddi – disputò un match capolavoro, giostrando magistralmente di tecnica e d’astuzia. Quando, al termine delle tre riprese, l’arbitro (il signor Migliorini di Roma) sollevò il braccio di Musina scoppiò il finimondo. Proteste violentissime fino a tarda sera, esposto da parte dei secondi del riminese ed alla fine, l’arbitro ammise candidamente di aver scambiato il braccio da sollevare: credeva di aver alzato quello di Magnani… Cose d’altri tempi, non c’è che dire!”.
Altre vittorie entusiasmanti, il nostro campione, le ottenne contro Luigi Strozzi di Ferrara, contro il francese Fabien, il ferrarese Salmaso, uno dei migliori welters d’Italia. Terminata la carriera Mario Magnani si dedicò all’insegnamento.
La boxe, questo fenomeno così vistoso ed inesplorato, così ricco di radici arcaiche e tra i meno insidiati dalle alterazioni tecnologiche, venne passato al vaglio della infinita sapienza di codesto maestro, severo, rigoroso e nello stesso tempo affettuoso e disponibile. A Forlì, quindi a Cesena ed infine nella sua Rimini, fu prodigo di consigli e di insegnamenti. Milandri, Beoni, Laghi, Bernardini, Conti, Raggi, Ragazzini, Cicognani, e più tardi Berretti e Cenni sono stati gli allievi, ai quali trasmise la serietà e l’indomita passione. Vale per Mario Magnani, ciò che il grande giornalista americano, Nat Fleischer, che era nato nel ghetto di New York, il 25 Giugno 1887, scrisse di se stesso, pochi giorni prima di morire nel 1972: “Ho consacrato tutta la mia vita alla boxe, un’arte, una scienza, uno sport. Può appassionare, abbagliare, disgustare persino, ma è tanto umana e drammatica. La boxe è nata con l’uomo e l’uomo, nella boxe, può trovare la sua vita e il suo destino…“. Gino Brocchi, ex arbitro di boxe, nonché incomparabile tecnico, lo considerava il maestro per eccellenza e sosteneva che l’affermazione di Jean Prevost: “La boxe est un sport qui laissé une place au genie”, fosse stata coniata appositamente per questo che fu un inarrivabile atleta e uomo meraviglioso.
Rileggendo queste righe mi accorgo, con dolore, che la maggior parte dei personaggi nominati non c’è più. Anche gli amici a me carissimi: Rodriguez jr., Gino Brocchi, Toio Tentoni, Ezio Raggini, Luciano Lugli, Edo Petrucci, Italo Paolizzi mi hanno abbandonato. Resta la immonda vecchiezza: il futuro mi appare in una nebbiosa, desolante luce di cataclisma. Mi spaventano i pronostici della Sibilla, rilasciati in una uggiosa pioggia di ingiallite foglie. Al mio nipote racconto le gesta di questi piccoli eroi. Lo sguardo di Diego, pare dirmi: “Resisti, continua ad esserci nonno”. Certo che mi proverò a resistere. Te lo prometto Dieghino: con la mia mano nella tua, cercheremo di percorrere il breve, per me, cammino della speranza.
Enzo Pirroni