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Non farti autogol, domenica ignora il referendum


9 Giugno 2022 / Nando Piccari

Astenersi alle elezioni per il Parlamento, la Regione o il proprio Comune è uno sfregio alla democrazia, è la diserzione da un diritto individuale che costituisce nel contempo un dovere civile. Perché, al contrario di quanto vuol far credere certa becera predicazione qualunquista, a chiamarti al voto non sono i partiti, ma la Repubblica Italiana.

I partiti ti propongono sia programmi che candidati e se né gli uni né gli altri ti soddisfano non ti arrendi, vai comunque al seggio e depositi nell’urna una bellicosa scheda bianca, che in quanto atto di protesta è cento volte più efficace dell’astenersi.

Vuoi mettere, per esempio, quanto sarebbe più dirompente verso i partiti un risultato del tipo: “Aventi diritto al voto 45 milioni, votanti 29 milioni, ai partiti 28 milioni, schede bianche 1 milione”, rispetto a quello: “Aventi diritto al voto 45 milioni, votanti 44 milioni, ai partiti 28 milioni, schede bianche 16 milioni”?

Ben diversa è la considerazione rispetto al referendum.

A proporre – legittimamente, sia chiaro – il quesito referendario può provvedere, come di norma avviene, anche una simbolica minoranza di elettori (500 mila, pari a poco più di 1,5%), se non addirittura il voto della maggioranza consiliare di sole 5 Regioni, vale a dire di un numero di Consiglieri pari a quello dei residenti in un condominio. Che però nel caso del referendum di domenica prossima… è moltiplicato per tre, in quanto a chiederlo “ad abundantiam” sono state le 15 Regioni governate dal centrodestra andate in soccorso di Salvini, che a quel punto non ha più dovuto esibire le firme che pure si vantava (o millantava?) di aver raccolto.

Trattandosi dunque della discrezionale intenzione di alcuni elettori a voler sottoporre un determinato quesito a tutti gli altri, va da sé che questi ultimi possano disporre di tre opzioni, tutte di pari dignità.

Diciamo allora che voti sì se condividi l’intenzione insita nel quesito; voti no se ne sei contrario; non voti affatto se la cosa ti è indifferente o se, come per il referendum di domenica, ci vuol poco a capire che il tuo voto, qualunque esso sia, diventa comunque “una marchetta” a favore di Salvini.

Tre ultime considerazioni, riferite al referendum di domenica.

La prima: le poche cose sensate che fra le righe dei cinque quesiti si possono a fatica percepire, o sono presenti in proposte di legge già approntate, come quella della Ministra Cartabia sulla Giustizia, o costituiscono la premessa ad altre di prossima discussione.

La seconda: nel malaugurato caso che a vincere fossero i sì, i residuali testi di legge “tagliati” si ridurrebbero a dei “mozziconi” ai quali il Parlamento dovrebbe comunque rimettere mano.
Perché un conto sono quesiti “definitivi” del tipo: “Volete voi abrogare la legge istitutiva del divorzio?”, altra cosa è invece “un taglia e cuci”, più lessical-politico che giuridico, da cui escano tronconi da riportare in dignitosa sintonia con altri testi legislativi complementari o concomitanti.

La terza: fermo restando che non è in discussione la libertà di scelta individuale lasciata a iscritti e simpatizzanti, ma perché mai la posizione ufficiale del PD si riduce all’autogol di andare domenica a votare, sia pure per il no?

Nando Piccari