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Intitolargli un luogo è il minimo che la sua città può fare per lui


Quanto manca a Rimini un Veniero Accreman


25 Novembre 2023 / Paolo Zaghini

Cento anni fa, il 23 novembre 1923, nasceva Veniero Accreman. E ci ha lasciato sette anni fa, il 27 dicembre 2016. Il tempo passa veloce, ma la memoria di alcune persone rimangono indelebilmente scritte nella storia della Città.

E questo è vero per Veniero: il politico, l’amministratore, il grande avvocato, lo scrittore.
Ma è anche vero che niente d’organico è stato scritto su di Lui. Tanti articoli, tanti ricordi, ma una biografia vera ancora manca e l’augurio che faccio è che questa lacuna nei prossimi anni possa essere coperta. Veniero lo meriterebbe. E mi associo, in questo momento a livello personale, alla richiesta avanzata dal figlio Lorenzo all’Amministrazione Comunale di ricordare Accreman con l’intitolazione di una via o di un luogo pubblico.

Io oggi però vorrei attirare la vostra attenzione velocemente su due punti.

Il primo è che una persona non opera mai da sola. Tanto più per un dirigente comunista: il partito come organismo vivo e frequentato da innumerevoli persone. Ma io oggi vorrei abbinare (in questo caso sto parlando della sua azione politico-amministrativa) il nome di Veniero a quelli di Walter Ceccaroni e Nicola Pagliarani.

Ceccaroni morì il 15 giugno 1999. Pagliarani morì il 23 aprile 2010. Veniero è stato l’ultimo dei tre ad andarsene.
Questi tre uomini, dal 1951 al 1970, furono eletti costantemente in tutti i Consigli Comunali di Rimini. Non voglio qui riepilogare i duri scontri politici fra i partiti della sinistra e l’opposizione a guida democristiana, con l’utilizzo della prefettura.

L’impressione, leggendo le carte e guardando gli incarichi politici e amministrativi che questi hanno ricoperto, è che questi tre uomini costituirono il nucleo ristretto del governo della Città oltre che di direzione del maggiore partito, il PCI, fra il 1948 e il 1970.

Accreman e Pagliarani non entrarono mai in Giunta con Ceccaroni, ma furono gli uomini d’ordine del gruppo consiliare in tutte le situazioni.
Ceccaroni fu Sindaco dal novembre 1947 a maggio 1970, fatto salvo i due periodi di sospensione inflittegli dal Prefetto. Accreman fu Sindaco dal 24 aprile 1957 al 23 gennaio 1958, in attesa che scadessero i tre anni di sospensione inflitti da Scelba a Ceccaroni. Pagliarani fu sindaco dal 1970 al 1977, subito dopo Ceccaroni. Per trent’anni essi coprirono il ruolo di Sindaco di Rimini.

Ma Pagliarani fu anche dalla Liberazione al 1970 l’uomo di raccordo fra l’Amministrazione e la Federazione Comunista, ricoprendo tutti gli incarichi possibili nell’organigramma del Partito: responsabile dell’organizzazione, della Stampa e propaganda, Segretario del Comitato Comunale di Rimini ed infine parlamentare.

Accreman invece fu l’uomo di raccordo con gli esponenti dell’antifascismo e della Resistenza (per un certo periodo alla fine degli anni ’50 fu anche Presidente dell’ANPI e dal 1971 al 1976 fu il primo Presidente dell’Istituto per la Storia della Resistenza), oltre che avvocato difensore di tanti partigiani nel turbolento dopoguerra. E fu l’oratore principe nei comizi e nelle Feste dell’Unità di tutte le Sezioni del Circondario riminese: ricordava con passione gli oltre cento comizi fatti. Accreman fu deputato dal 1963 al 1968 e subentrò alla Camera dei Deputati a Nicola Pagliarani nel 1970 (sino al 1976).

Con questi due uomini Ceccaroni visse tutti i momenti salienti della politica riminese per oltre trent’anni.
Non abbiamo alcuna testimonianza scritta dei loro rapporti politici ed umani, che pure ci furono e furono intensi. La vulgata popolare dice che non si amarono, ma sicuramente si rispettarono e condivisero molte delle scelte politiche e amministrative compiute per il bene della Città.

Il ricordo più significativo dei rapporti fra questi tre uomini è probabilmente il ricordo che Accreman scrisse per Il Resto del Carlino il 17 giugno 1999 in occasione della morte di Ceccaroni dal titolo: “Ma le battaglie restano”.

“Carissimo Walter, non avrei mai pensato che il nostro ultimo colloquio dovesse aver luogo oggi, mentre tu non ci sei più. Poche settimane fa avevamo detto di trovarci ancora (tu, Nicki ed io attorno ad un tavolo per ripensare la lunga stagione vissuta insieme. Haimè! Non abbiamo fatto in tempo. Abbiamo cominciato a vivere vicini da ragazzi: i negozi di mia madre e di tuo padre che si fronteggiavano in Corso d’Augusto. Già a quel tempo l’appartenenza familiare ci aveva segnato (…). Vennero gli anni dell’Università e il tempo della guerra. Ricordo i primi contatti di noi giovani con l’organizzazione che clandestinamente cercava di prepararci a lottare per ridare la libertà al nostro paese, le riunioni segrete – anche nei fossati – con gli emissari del ‘partito’.

Vennero i bombardamenti. Crebbero le difficoltà e i pericoli per non perdere i contatti politici e per dar luogo a quelle azioni di resistenza – quelle che si potevano fare – verso l’invasore tedesco. Poi la fine della guerra, il ritorno nella città distrutta e la volontà veemente di ricominciare e organizzare la società sulle basi di libertà e giustizia. Sono stati gli anni più belli della nostra vita: attività politica continua, poche ore per dormire, ogni sera fuori per riunioni, dibattiti, per spiegare la nostra dottrina, per organizzare il consenso, per combattere gli avversari. Le idee di giustizia sociale, di emancipazione del lavoro dallo sfruttamento ci inebriavano. Quante volte abbiamo parlato insieme dallo spalto di Piazza Cavour, in occasione di avvenimenti politici, tristi o lieti che siano stati. Quante volte abbiamo sentito salire la commozione dei nostri concittadini che ci ascoltavano! Ed entrambi pensavamo che nella vita non ci potesse essere ricompensa maggiore (…).

In una delle nostre ultime conversazioni non ci trovammo d’accordo sulla valutazione della vicenda politica della quale eravamo stati partecipi. Io sostenevo che la meta che allora ci prefiggevamo – organizzare la società secondo ragione, abolire le ingiustizie, governare noi le leggi dell’economia per crescere insieme – non era stata raggiunta e dunque mi mettevo dalla parte degli sconfitti; tu non negavi il fatto, ma mi invitavi a riflettere quanto peggiore sarebbe stata la situazione senza la nostra attività di lotta. Forse è vera l’una cosa e l’altra. Ma ormai è troppo tardi per discuterne ancora (…). Abbiamo avuto un grande privilegio nella vita: operare sugli ideali nei quali abbiamo creduto. Io ho avuto anche quello di averti per amico”.

Paolo Zaghini

Quanto mi sarebbe piaciuto, semmai questo incontro/confronto a tre ci fosse stato, essere una piccola mosca per assistervi. Quante cose questi tre grandi personaggi avrebbero potuto dirci. Il mio dispiacere maggiore è stato quello di non essere riuscito a convincere Veniero negli ultimi dieci anni a scrivere, con la sua bella penna, non dico le sue memorie, ma almeno un po’ di notarelle sulle tante vicende politiche della nostra Città che lo hanno visto interprete e protagonista per almeno cinquant’anni. Ci rimane il grande rimpianto di una occasione perduta.

Il secondo punto di cui vorrei parlarvi brevemente, da buon ex bibliotecario, oggi in pensione, è la bibliografia di Veniero.

Veniero ha scritto poco, troppo poco purtroppo. Di Lui esistono alcune pubblicazioni fatte da suoi interventi alla Camera del 1966: “Per la riforma della legge di pubblica sicurezza” e “Affinchè sia resa giustizia ai licenziati politici”. E un volume riepilogativo della sua attività parlamentare dal 1963 al 1975 fatto dalla Biblioteca della Camera dei Deputati nel 2018 su richiesta dell’allora on. Tiziano Arlotti.

Dal punto di vista politico ci fu la sua partecipazione alla redazione dell’opuscolo nel 1955, assieme al Segretario della Federazione del PCI Mario Soldati e a Valerio Ghinelli, “Rimini, Scelba e i monopoli”, testo che fu alla base del duro confronto politico nelle elezioni amministrative riminesi del 1956 e del 1957.

A Veniero piaceva parlare di storia, e lo faceva con cognizione di causa da grande lettore attento alle novità editoriali (lo posso affermare con certezza visto che il figlio Lorenzo mi regalò molte centinaia di volumi di storia dopo la sua morte che collocai presso la Biblioteca “Battarra” di Coriano).

Di questo suo interesse per la storia, in particolare del Novecento e della Seconda Guerra Mondiale, rimane traccia in alcuni libri editi. Del 1983 è la pubblicazione della registrazione della tavola rotonda, promossa dall’Istituto per la Storia della Resistenza, dedicata a “Autobiografia di una generazione. Fascismo e gioventù a Rimini”, a cui Accreman prese parte assieme a Sergio Zavoli, Guido Nozzoli, Liliano Faenza, Sergio Ceccarelli ed Elio Ferrari.

Invitato il 13 settembre 2004 dal Sindaco di Coriano in Consiglio Comunale a celebrare il 60° della Liberazione Veniero, tenne una orazione che venne edita sul giornale del Comune, “Comune di Coriano-Informazioni”, nel n. 4 del 28 ottobre 2004: “La nostra democrazia ha bisogno degli insegnamenti della storia”. E nel 2011 Giovanni Cioria, l’editore de La Piazza di Misano Adriatico, stampò il testo di una conferenza tenuta a Cattolica da Veniero, assieme a Silvio Di Giovanni: “Considerazioni in occasione del 150° dell’Unità d’Italia”.

Alla fine di questa ricognizione le pubblicazioni vere e proprie di Veniero ammontano a tre libri, scritti nell’ultimo decennio della sua vita: “Le pietre di Rimini” (Capitani Editore del 2003), il racconto dell’adolescenza trascorsa a Rimini al tempo del fascismo e della Resistenza fatta in comune di Borghi; “La morale della storia” (GuaraldiLAB del 2013) in cui afferma che “la morale è creata dagli uomini per la necessità di mantenere l’ordine nella realtà in cui vive. Tant’è che società con origini e nature diverse danno origini a morali diverse”; “La cultura & il diritto” (GuaraldiLAB del 2016), uscito un mese prima della sua morte.

In questo suo ultimo volume Veniero affronta due temi: “Identità e destino di ‘Homo Sapiens’” e “L’avvenire del diritto penale”. Mi soffermo sul primo capitolo, perché in queste poche pagine, una cinquantina, Accreman ci racconta le sue scelte di vita, il suo pensiero filosofico, e ci manda il suo saluto finale (quasi avesse sentito che la fine era ormai vicina).

“Ho creduto nel comunismo e nella democrazia. Essere legislatore mi ha sempre riempito di entusiasmo”. Nel corso delle tre legislature in cui fu parlamentare (dal 1963 al 1976) Accreman, oratore straordinario, intervenne 90 volte e firmò 22 progetti di legge.
“Chi non si è mai chiesto: qual è il senso del nostro vivere?” La risposta nasce da questa affermazione: “più cresce il sapere, più l’orizzonte diventa ampio”. “Al contrario dell’evoluzione biologica – che è lentissima – la Cultura evolve con rapidità straordinaria. Nel ventesimo secolo la crescita è stata vertiginosa. Le basi di tale crescita sono il sapere scientifico e l’innovazione tecnologica, che ne è figlia”.

Sulla base della Cultura Accreman ha un moto di rifiuto netto, e parole durissime, verso l’Islam: “L’Islam ha una riserva enorme di uomini, che peraltro vivono in un involucro di incultura assoluta. La cultura dell’Islam consiste solo nella conoscenza di alcuni versetti del Corano, che promettono il Paradiso a chi uccide gli infedeli”. Sono certo che queste poche affermazioni (ma nel libro ce ne sono altre di questo tenore), Lui vivo, avrebbero dato vita ad un dibattito serrato e, forse, feroce. Ma Veniero non si sarebbe certamente tirato indietro.

Ed ancora: “Il nostro Pensiero – nel XX secolo – ha accumulato più conoscenze che in tutta la Storia precedente. Siamo gli artefici del nostro Destino con ogni atto che compiamo. Siamo l’unica specie che ha creato civiltà”. “La nostra Storia ha conosciuto e conosce crudeltà, sofferenze, superstizioni. Ma solo noi Umani abbiamo attribuito un valore all’Individuo: solo noi godiamo della Bellezza della Natura; solo noi proviamo compassione per i nostri simili. Solo noi riconosciamo il Male nella sofferenza dell’innocente; e riconoscere quel Male ci dà la vertigine”.
E conclude, lanciandoci il suo ultimo saluto: “And now? Posso guardare dentro di me senza imbarazzo. Non ho commesso grandi viltà. Mi hanno sempre indignato l’ingiustizia, la falsità, il servilismo; non ho mai sopportato la gioia immonda. Quando ho potuto, ho dato il pane all’affamato e vestito l’ignudo”. Un addio laico, da pensatore stoico cosciente del ruolo svolto e della fragilità umana. Il voto che si è assegnato alla fine per l’insieme della sua vita è “Sufficit”, sufficiente.

p’Alla fine dei due saggi, due “chicche”: le due arringhe malatestiane pronunciate nel corso del processo a Sigismondo Malatesti (l’1 settembre 2006 alla Rocca Malatestiana), in cui Veniero svolse il ruolo del difensore del Signore di Rimini contro il suo acerrimo nemico Papa Pio II. Il voto del pubblico presente (quasi mille persone) diede ragione a Veniero e assolse Sigismondo (800 voti contro 200). Invece nel processo a Gianciotto (il 22 maggio 2010 nella Sala de L’Arengo), accusato di uxoricidio e fratricidio per l’uccisione di Francesca e di Paolo, la difesa svolta da Veniero non fu sufficiente a vincere e Gianciotto venne condannato ai lavori forzati. Due divertissement storici, ma in cui emergono con grande rilevanza la grande cultura classica e storica di Veniero e la sua arte giuridica, oltre che la sua abilità oratoria.

L’uomo Accreman era tutto questo. Ed è per questo che oggi manca alla Città, e la sua assenza in questi anni si è avvertita.

Paolo Zaghini