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Rimini nel Medio evo città di mare più che mai


17 Gennaio 2021 / Paolo Zaghini

Oreste Delucca: “Rimini e il mare nei documenti del Tre-Quattrocento” – Luisè.

Era il 12 ottobre 1492 quando Cristoforo Colombo mise piede nel Nuovo Mondo. Convenzionalmente questa data segna la fine del Medioevo e l’inizio dell’Età Moderna. I fermenti di una nuova epoca però già da tempo stavano modificando l’assetto istituzionale in Europa (la nascita dei grandi stati unitari) e il vivere della gente (dopo la grande epidemia di peste nera di metà del 1300 che uccise almeno un terzo della popolazione del continente europeo, provocando verosimilmente quasi 20 milioni di vittime).

Ora Oreste Delucca non è certamente Ken Follet che attraverso i suoi romanzi della saga di Kingsbridge ci restituisce scenari ed ambienti del Medioevo inglese e francese (“I pilastri della terra” del 1989, “Mondo senza fine” del 2007 e “La colonna di fuoco” del 2017, per arrivare al recente “Fu sera e fu mattina” del 2020, tutti editi da Mondadori). Storicamente corretti, ma non troppo, come lo storico Alessandro Barbero puntigliosamente ci evidenzia su Robinson, l’inserto librario di Repubblica, del 31 ottobre 2020: “’Fu sera e fu mattina’ il nuovo romanzo di Ken Follett non è un buon romanzo medievale” e il prof. lo spiega puntigliosamente: “il ritmo con cui l’autore ci conduce in questa cavalcata interminabile non è il galoppo di un cavallo di razza, ma il passo di un ronzino un po’ sfiancato, che però tira bravamente il suo carretto fino alla fine… Quindi, alla fine, perché no?”. Perché è scritto bene, perché la storia è ben disegnata, perché i lettori di Medioevo alla fine non sanno molto e quindi le forzature e le inesattezze non le vedono più di tanto.

Cosa diversa invece i lavori di Delucca che, libro dopo libro, attraverso una certosina ricerca in archivi, pubblici e privati, ci presenta gli esiti delle sue ricerche sul riminese nei secoli da Lui più amati: quelli alla fine del Medioevo, fra 1300 e 1500, la Rimini malatestiana. Per citare alcuni dei lavori di Delucca su questo periodo (un elenco tutt’altro che completo): “L’abitazione riminese nel Quattrocento”, 3 volumi editi da Patacconi fra il 1991 e il 2006; “I pittori riminesi del Trecento nelle carte d’archivio” (Luisè, 1992); “Animali domestici e selvatici in una città medievale : la Rimini malatestiana” (Bookstones, 2011); “Sigismondo Pandolfo Malatesta controverso eroe” (Bookstones, 2016); “Toponomastica riminese: i nomi dei luoghi raccontano la nostra storia” (Luisè, 2019); “I terremoti a Rimini dal Medioevo ad oggi“ (Pazzini, 2019). E attendiamo entro fine anno i 2 volumi, di oltre 700 pagine l’uno, su mestieri e professioni nella Rimini del Quattrocento.

In questo ultimo lavoro uscito Delucca ci racconta, sempre grazie ai numerosi documenti da Lui riportati alla luce, di Rimini tra Medioevo e Rinascimento, “una città sul mare e che col mare ha avuto un rapporto stretto e necessario fin dalla sua nascita e che anche oggi le è indispensabile” ci dice Giovanni Luisè, l’editore, nella sua nota di apertura del libro.

“Rimini e il mare” è costruito attorno ai 420 documenti che Delucca sintetizza alla fine del volume: essi parlano, come dice Luisè, “di navi e di naviganti, di disposizioni statutarie sull’esercizio della pesca e dei commerci, di pescatori e di pescato, di regole e di contravvenzioni a queste, di grandi guadagni e di fallimenti, di devastazioni e di risarcimenti, di navi e di cantieri, di naufragi e di pirateria … di tutto insomma quell’immenso immortale mondo che si esprime e si condensa nella parola Mare”.

Nella Premessa Delucca chiarisce l’ambito del lavoro: “Lungi da me la presunzione di redigere una storia della marineria medievale riminese (…) mi propongo di sviluppare alcuni temi legati al rapporto di Rimini col mare e con le acque in generale” come “le difficoltà delle vie terrestri, l’assoluta prevalenza delle vie d’acqua, l’integrazione fra percorsi marittimi e fluviali, la stagionalità, il porto di Rimini, la legislazione marittima, il Capitano di Porto, le imbarcazioni, i navigli di Sigismondo, la pesca d’acqua dolce e di mare, i commerci e trasporti di uomini e merci, le disavventure e i naufragi, i mercanti riminesi, le migrazioni fra le due sponde dell’Adriatico, la scoperta dell’America”.

“Sebbene non prive di alcune problematicità, nel complesso le vie d’acqua presentano innumerevoli vantaggi, ragione per cui nel Medioevo risultano assai più praticate delle vie terrestri”. Va detto che dopo la caduta dell’Impero romano le antiche strade non avevano più ricevuto alcuna manutenzione, erano malmesse, in stato di abbandono. “Su un battello si possono comodamente caricare merci pesanti e ingombranti, cosa impossibile su strada. Anche la mobilità delle persone è favorita, in quanto si realizza risparmiando la fatica del camminare, o del cavalcare”. Per favorire i commerci Rimini sin dal Mille stipulò accordi, trattati e intese con altre città costiere. “Naturalmente, in questo intreccio di relazioni e accordi, Venezia – quale ‘signora del Golfo’ – è in grado di imporre condizioni a lei favorevoli nei confronti di tutte le altre città”.

Delucca nel capitolo dedicato alle imbarcazioni ci elenca le barche presenti a Rimini in quei decenni: la maggioranza sono imbarcazioni da carico in grado di affrontare il mare aperto (102), intendendosi per questo comunque il mare Adriatico (“oltrepassare il canale d’Otranto è un po’ come superare le Colonne d’Ercole”). Sono in prevalenza scafi con un solo albero ed un’unica vela. Sono 27 i bastimenti che invece assumono la qualifica di navigio o navilio, di portata decisamente superiore, dotati di più alberi e più vele. 15 sono i burchi, aventi una dimensione intermedia fra i precedenti due. Infine 5 le navi, descritte fra le 8,4 e le 9 tonnellate e munite di due timoni.

Fra le curiosità Delucca ci racconta, grazie alla numerosa documentazione ritrovata, dell’attività commerciale del burchio, un battello da trasporto a fondo piatto con vela latina, di proprietà di Pandolfo, padre di Sigismondo, negli anni 1409-1410. E ci segnala come la stragrande maggioranza dei marinai di questo burchio fossero slavi, dell’altra parte dell’Adriatico, a testimonianza degli intensi e proficui scambi tra le due sponde. Un parziale censimento del XV secolo registrava a Rimini una presenza di 400 individui provenienti dalla Slavonia.

A Rimini non operano grossi mercanti. “Qui agiscono soprattutto mercanti di media e piccola levatura, che di norma importano beni necessari al consumo interno ed esportano le eccedenze della produzione locale”.
Tantissime le immagini di cui è corredato il libro, provenienti da musei e biblioteche di tutto il mondo. Ci restituiscono visivamente il mondo che i documenti di Delucca raccontano.

Paolo Zaghini