HomeIl corsivoSperiamo che Botticelli non lo venga mai a sapere

"A questo punto non so più cosa pensare di me, perché per la terza volta in vita mia mi trovo d'accordo con Sgarbi"


Speriamo che Botticelli non lo venga mai a sapere


23 Aprile 2023 / Nando Piccari

A una gran parte di Italiani si stringerà il cuore vedendo, o comunque immaginando, Mattarella festeggiare in solenne raccoglimento il 25 aprile, accompagnato dai tre “bei gingini” qui sotto ritratti.

Di ritorno da quella sceneggiata a cui non hanno potuto sottrarsi, è facile prevedere che necessiterà loro assumere qualcosa in grado di stemperare l’irritazione accumulata. Ma mentre a Meloni e Fontana saranno sufficienti tre o quattro camomille, La Russa continuerà a risentire più a lungo dei postumi del suo pur celato contorcimento interiore.

È dunque auspicabile che qualcuno gli consigli un cocktail di Valium e Malox Plus, in grado di tranquillizzarlo un po’ e di alleviargli il bruciore, almeno quello di stomaco.

Ma ora basta parlare del 25 aprile, perché di Resistenza e Liberazione ha già trattato magnificamente Lia Celi nel suo splendido articolo di domenica su questa testata.

Degli argomenti cari alla destra melon-salviniana mi limiterò ad un accenno su quello della “sostituzione etnica”. Ma non per dare anch’io addosso al cognato della Meloni, che Pillon e quelli di Pro Vita preferiscono chiamare Lollobrigido, perché Lollobrigida sa troppo di transgender. Anzi, ne scrivo per il motivo opposto.

É vero, quell’uscita di Lollobrigida è sembrata avere a che fare con “la difesa della razza”. Ma, si badi bene, non della “razza bianca” contrapposta a quella degli “immigrati negri”; bensì della “razza” intesa come quel gustosissimo pesce cartilagineo che presenta due variabili di medesima “etnia pesciarola”: la “razza cappuccina” e la “razza chiodata”.
É o non è Lollobrigida il ministro della Sovranità alimentare? E allora perché stupirsi che non voglia vedere la razza italiana sopraffatta dall’immigrazione di “pangasio del Mekong” e di “polpo del Vietnam”?

Venendo ad altro, ha prodotto rabbia e indignazione la disumanità con la quale il governo ed i suoi tirapiedi in Parlamento, dopo aver finto di essere andati a piangere a Cutro, hanno manomesso ogni precedente salvaguardia agli immigrati, prevedendo insieme ad altre oscenità perfino la rottamazione della “protezione speciale” verso quanti di loro rischieranno l’uccisione se ricacciati nei Paesi d’origine.

A tentare di tirarci un po’ su ci ha però provato la ministra Santanché (meglio conosciuta come Santan-chi?), facendoci ridere con quella Venere del Botticelli travestita più volte da buzzurra. È così che infatti l’hanno ridicolizzata in “Italia open to meraviglia”, uno pseudo progetto di millantata promozione turistica che, essendo costato nove milioni di euro, non ha consentito rimanesse neppure qualche spicciolo per registrarne il dominio.

Inutilmente il ministrello alla cultura aveva provato fino all’ultimo a convincerla che il massimo dell’attrattività turistica può garantircela solo un Dante che esalti la sua autentica natura di progenitore della destra italiana.
Ma la Santanchi? è stata irremovibile: «Ho scelto consapevolmente la Venere di Botticelli. Non la potevamo proporre così com’è dipinta, perché uno degli obiettivi di questa campagna internazionale è quello di avvicinare i giovani, abbiamo quindi utilizzato strumenti e linguaggi a loro vicini».

A questo punto non so più cosa pensare di me, perché per la terza volta in vita mia mi trovo d’accordo con Sgarbi, quando dice: «Ma la pubblicità all’Italia la fanno le opere d’arte, senza bisogno di travestirle. Open to meraviglia? Che roba è? Che lingua è?».

Qualcuno sostiene che anche il pilloncino Matteo Salvini avrebbe espresso la sua contrarietà, ma con motivazione diversa da Sgarbi, chiedendosi cioè se quella Venere della foto dovesse, ai suoi tempi, andare proprio in giro mezza scosciata.

Non vorrei che però adesso qualche seguace riminese di Santanchi? – che so, Rufo Spina? – se ne uscisse con la proposta di imitare quella sua “gabbiettata” anche nel prosieguo dell’iniziativa per “Rimini Capitale della Cultura 2026”.

Magari con un Fellini colto dinanzi al Fulgor mentre sfreccia in monopattino sul Corso? O Sigismondo Pandolfo Malatesta che si fa uno spritz, stravaccato in bermuda al Chiosco Rinaldini, adiacente al suo omonimo Castello? Per non parlare di Francesca che in costume a due pezzi “slimona” sulla spiaggia col suo Paolo, senza che i due si accorgano dell’arrivo alle loro spalle di Gianciotto, travestito da bagnino e forse incazzato più con l’Europa per la Bolkestein che con loro.

Nando Piccari

Post Scriptum
Non so cosa darei per trovarmi di fronte il presidente della Provincia Autonoma di Trento! Quel sadico, non a caso leghista, che non vede l’ora di assassinare (sì, è la parola giusta!) la mamma di tre orsetti.


Certo, la morte di quel ragazzo è un dramma, ma almeno serva non ad un ignobile “occhio per occhio, dente per dente” fra uomo e animale, ma a smettere di considerare gli animali nel bosco come degli intrusi, allertando invece alla cautela le persone che nel bosco ci si addentrino.

Non a caso quel raccapricciante personaggio è l’allora deputato leghista che nell’estate del 2011 fu a capo di una cosca di suoi accoliti trentini, organizzatori una repellente festa con cena a base di carne di orso al barbecue.