Giuseppe Stalin (Iosif Vissarionovič Džugašvili, 18 dicembre 1879-5 marzo 1953) fu il Segretario generale del Partito Comunista russo dalla metà degli anni ’20 alla sua morte. La sua figura fu mitizzata dai comunisti di tutto il mondo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Questo avvenne anche in Italia.
Scrive Severino Galante nel suo saggio “I comunisti italiani e il Mito sovietico nel secondo dopoguerra” all’interno del volume miscellaneo dedicato a “L’URSS il mito e le masse” (Angeli, 1991): “Nel secondo dopoguerra il partito Comunista Italiano alimentò e organizzò al suo interno, divulgandolo contestualmente anche all’esterno, quel che oggi appare un autentico Mito dell’Unione Sovietica. Della costruzione del Mito sovietico era parte integrante il mito dell’infallibilità politica e teorica di Stalin, il cui ruolo era presentato come decisivo nei passaggi più drammatici della Rivoluzione e poi di tutta la storia sovietica. Anche tra i comunisti italiani il leader sovietico fu perciò oggetto di un autentico culto – con cerimonie, riti, e persino offerte votive – che raggiunse l’apice in occasione del suo 70° genetliaco” (il 18 dicembre 1948).
Nella tarda primavera del 1953 Stalin era morto da poche settimane, ma il mito dell’URSS gli sarebbe sopravvissuto: “La vita di Stalin è la vita del Partito comunista dell’URSS, è la vita del primo stato socialista del mondo. Perciò si comprende l’amore che lo circondò e il dolore che suscita la sua scomparsa: sono due sentimenti universali che oggi si fondono nel cuore degli uomini semplici di tutto il mondo, nei quali Stalin continuerà a vivere per l’eternità. Si è arrestato un grande cuore. Si è spento un grande genio. Ma l’opera creata da Stalin rimane, invitta e invincibile, per dare coraggio e speranza agli oppressi, per incitare, viepiù, i vittoriosi, per fare degli uni e degli altri i compagni e i fratelli di lotta per la emancipazione di tutta l’umanità dal bisogno, dalla paura, dall’odio, dagli orrori delle guerre” (“La vita e l’opera di Giuseppe Stalin” in “Quaderni del propagandista” n. 4 del 6 marzo 1953).
Per riportare le cose alla loro oggettività occorrerà attendere il “Rapporto segreto” di Krusciov al 20° Congresso del PCUS (dal 14 al 26 febbraio 1956) in cui vennero denunciati una parte dei crimini di Stalin e condannato il suo culto della personalità.
Anche a Rimini negli anni del dopoguerra, come nel resto d’Italia, l’iconografia staliniana è presente in ogni attività del PCI.
Proponiamo una sequenza di immagini di vari incontri dei comunisti riminesi dove l’immagine di Stalin campeggia sopra di loro.