HomeAlmanacco quotidiano15 luglio 1258 – Jacopino Rangoni Podestà di Rimini, sarà ucciso a Montaperti

Dopo aver tradito la parte imperiale fece una sfolgorante carriera fra i Guelfi fino a guidare i Fiorentini nella storica disfatta inflitta dai Senesi


15 luglio 1258 – Jacopino Rangoni Podestà di Rimini, sarà ucciso a Montaperti


15 Luglio 2023 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Nel 1258 Podestà di Rimini è Jacopo o Jacopino Rangoni da Modena, nominato il 15 luglio.

Su di lui Luigi Tonini in “Storia sacra e civile riminese  sec. XIII” (1862) raccoglie queste notizie: “Un Giacomino da Rangona fu Podestà di Siena nel 1237. Un Iacopino Rangoni da Modena fu Podestà di Fuligno nel 1245. Nel 1247 militando con Guglielmo suo nipote sotto il Re Enzo si ritirò dall’assedio di Parma, e per ciò venne bandito da Modena assieme co’ Guelfi. Nel 1248 fu coi Modanesi che a’ 2 di ottobre promisero al Comun di Bologna la conservazione del Castello di Nonantola, e tra quelli che a’ 16 ne dettero gli ostaggi. Fu Podestà di Firenze net 1259 all’uso Firentino, cioè 1260. Nel 1264 fu tra i testimonj alla elezione del Marchese d’Este in Rettor di Ferrara. Era in Mantova nel 1268; e per ultimo parla di lui il Muratori all’anno 1271”.

Jacopino sposò nel 1215 in prime nozze Bartolomea Torelli, figlia del noto esponente ghibellino Salinguerra e in seconde nozze nel 1252 Emilia d’Orione. Ebbe tre figli: Tommaso; Gherardo, capitano del popolo di Perugia; Castellano.

Il Rangoni aveva agito nel solco del padre Gherardo: nel 1156 Podestà filo-imperiale di Modena, ma quando la città aderì alla Lega Lombarda (1168), Rangoni tradì i Ghibellini per mantenere il potere, con le cariche ancora di Podestà e anche di Console.

Ma Jacopino aveva anche anticipato il cambio di bandiera consumato da Malatesta da Verucchio, Ramberto di Giovanni Malatesta, Taddeo da Montefeltro e i conti di Carpegna. Tutti Ghibellini che alla notizia della clamorosa disfatta delle truppe imperiali sotto le mura di Parma, il 18 febbraio 1248, si erano gettati fra le braccia di Santa Romana Chiesa. Da allora Rimini si era ritrovata spaccata. Da una parte i Guelfi con il vento in poppa, ma ciò nonostante senza la forza sufficiente per liberarsi definitivamente dei Ghibellini fra cui i Parcitadi erano la consorteria preminente, ancora ben saldi in armi, cariche e ricchezze.

Del resto il Comune di Rimini era stato ghibellino da sempre, nonostante avesse interpretato questa scelta di campo con l’ampia elasticità che si deve alla convenienza del momento. Tuttavia per tanti non era semplice cambiare casacca da un giorno all’altro. Quindi per quasi tutta la seconda metà del Duecento la città visse in regime di “alternanza”, come diremmo oggi, ma carica di tensioni e punteggiata da episodi di violenza intervallati da tentativi di trovare un improbabile modus vivendi fra le fazioni. Avere un Podestà come Jacopino, “fellone” quanto i maggiori capi guelfi Malatesta da Verucchio e Taddeo da Montefeltro, assume quindi un significato ben chiaro.

Il palazzo del Podestà di Rimini

Ma era davvero di lui che scriveva il Muratori e che era in Ferrara nel ’64 e Mantova nel ’68? Altre fonti lo confermano podestà di diverse importanti città: Todi nel 1234, Siena nel 1237, Foligno nel 1245. Come rileva il Tonini, nel 1246 nonostante il padre divenuto guelfo era in campo per l’imperatore Federico II di Svevia, unendosi a suo figlio Enzo alla conquista di Parma.

Ma nel 1247 anche luo abbandonò gli imperiali per passare fra i partigiani del papa, diventando capo dei Guelfi di Modena. Quando nella sua città prevalsero gli avversari ghibellini, Jacopino fu costretto a rifugiarsi a Bologna subendo il bando dell’imperatore. Fece ritorno a Modena nel 1249, dove restò per quindici anni. Quindi la sfolgorante carriera da podestà guelfo, in città una più importante dell’altra: dopo Rimini nel 1258, c’è Bologna nel 1259, quindi Firenze nel 1260.

In questa veste nel settembre di quell’anno guida le truppe fiorentine nella campagna contro Siena che culminerà nella battaglia di Montaperti.

Stemma dei Rangoni

 

“Così avendo tutte le brigate,
di Firenze egli uscirọ sanza dimoro,
secondo che io trovo nelle carte.
A boche pase gridavan costoro:
«Le murạ di Siena saranno ispianate,
noi rubaremo tutto il lor tesoro».
L’un di settenbre, secondo la carta,
e’ fu, nel milledugentosesanta”.

(Cantare senese)

Sappiamo come andò. I Guelfi erano arrivati fin sotto le porte di Siena con 30 mila fanti e 3 mila cavalieri. Con Firenze c’erano Bologna, Prato, Lucca, Orvieto, Perugia, San Gimignano, San Miniato, Volterra e Colle di Val d’Elsa. Dopo un tentativo di assedio, si erano accampati presso Montaperti sulle rive del torrente Arbia. E qui il 4 settembre i Senesi e i loro alleati andarono ad affrontarli.

A Siena i Ghibellini avevano messo insieme 1.800 cavalieri e 18.000 fanti. Ad aiutarli c’erano Massa, Terni, i conti di Santa Fiora, Asciano, Poggiobonizio (la futura Poggibonsi), 900 cavalieri tedeschi inviati da re Manfredi di Sicilia agli ordini di Walther (Gualtieri) von Astimberg e i Ghibellini fiorentini cacciati dalla loro città nel 1251, condotti da Manente degli Uberti detto Farinata.

Il piano degli imperiali prevede che la seconda divisione, composta da 800 cavalieri tedeschi e 6 mila fanti, guidata dal conte Giordano d’Agliano, e la terza, composta da 4 mila fanti senesi e guidata da Ildebrandino X Aldobrandeschi da Santa Fiora, attaccheranno frontalmente, nonostante il sole contrario e la pendenza del terreno. Quando sentiranno il grido di San Giorgio, quelli della prima divisione, guidata dal conte d’Arras, investiranno i Guelfi alle spalle. La quarta, composta da 200 cavalieri e comandata da Niccolò da Bigozzi, resterà a guardia del carroccio senese.

Secondo gli epici racconti di quella giornata, Gualtieri d’Astimbergh, avendo il privilegio di attaccare per primo, dopo essersi avvicinato lentamente ai nemici, caricò lancia in resta il capitano dei Lucchesi, che fu trapassato da parte a parte.

“Lo  primo che giognesse, fu lo capitano de’ Lucchesi: aveva nome misser Niccolò Garzoni. E esso misser Niccolò, gli gionse la lancia di misser Gualtieri, e passò lui e l’armadure tutte; e’ cadde morto in terra, e così lo lassò, e passò via colla spada i·mano. E ttanti quanti e’ ne giogneva, li lassava quasi per morti, e molti n’amazò” (Cronica dell’Anonimo Romano)

Dopo aver recuperato la lancia, Gualtieri uccise altri due cavalieri e poi, persa l’arma, si fece largo tra i nemici con la spada. Nelle prime fasi della battaglia, non solo i fanti guelfi ressero ai primi attacchi dei ghibellini, ma contrattaccarono a loro volta. Questo spinse la quarta divisione di Niccolò da Bigozzi a contravvenire agli ordini e intervenire lasciando la difesa del carroccio senese.

Dopo alterne fasi della battaglia, verso il pomeriggio parte un contrattacco dei Ghibellini. A quel punto Bocca degli Abbati getta la maschera: seppure al fianco dei Guelfi fiorentini a causa di complicati interessi e alleanze, era in realtà di parte ghibellina e, alla vista del contrattacco senese, galoppa adosso al portastendardo fiorentino Jacopo della Nacca della famiglia de’ Pazzi e con un fendente gli trancia di netto il braccio con cui reggeva il gonfalone, per poi sputarvi sopra. Secondo Marietta de Ricci, invece, Bocca degli Abbati, figlio di Ranieri Rustici, avrebbe tradito in quanto semplicemente geloso dell’amore tra Cecilia, figlia di Cece Gherardini, e Jacopo de’ Pazzi. Bocca fu ucciso all’istante, ma l’episodio causò un notevole sconcerto tra le file guelfe.

Ed ecco che dalle schiere ghibelline si alza l’invocazione a San Giorgio; al segnale convenuto la prima divisione, quella del conte d’Arras, sbuca dal canalone Borro Rigo dell’Arbia dove si era occultata e attacca i Fiorentini alle spalle assieme alla cavalleria tedesca. Il conte in persona uccide il Podestà e comandante generale dei fiorentini Jacopino Rangoni da Modena e per i Guelfi è l’inizio della disfatta.

Lo schema della battaglia di Montaperti (https://tuttatoscana.net/)

“Essendo la battaglia come udito avete, e le grandi grida che continuamente facevano la gente de’ Sanesi, uscì fuore dell’aguatio el valoroso e ffranco cavaliere misser lo conte da Rasi con tutta sua gente. E esso, innanzi per mezza arcata, ne viene a fferire per costa, e ffu ttanta la possanza del suo valoroso destriere, che llo portò i·mezo del canpo de’ Fiorentini, e ine s’abatté col capitano generale de’ Fiorentini, e abattello del destriere, morto in terra”

(Cronaca senese)

 

«Lo strazio e ‘l grande scempio che fece l’Arbia colorata in rosso, tal orazion fa far nel nostro tempio.»

(Dante, Divina Commedia, Inferno X, 85)

 

«Maiure è lo maciello. Così se macellavano como le pecora»

«Fuvi uno che aveva nome Geppo, che cor una scure n’amazò più di vinti; e quello Geppo andava per Siena spezando le legna: or pènsate come facevano quegli prodi cavalieri!»

(Anonimo Romano)

La piramide che commemora la battaglia di Montaperti

Il massacro dei Guelfi dura fino a notte. Si calcola che le perdite siano ammontate a diecimila morti e quindicimila prigionieri guelfi (solo i Fiorentini ebbero 2.500 caduti e 1.500 prigionieri) e a 600 morti e 400 feriti ghibellini.

Al calar della notte i comandanti ghibellini diedero l’ordine di salvare chi si fosse arreso, beninteso Fiorentini esclusi che andavano comunque ammazzati. Questi, uditi i comandi, cancellarono dai vestiti i segni di riconoscimento e si mescolarono agli alleati per salvarsi. Il sacco al campo guelfo permise ai Ghibellini di catturare quasi diciottomila tra cavalli, buoi e animali da soma. Le bandiere e gli stendardi dei Fiorentini furono presi e il gonfalone della città fu attaccato alla coda di un asino e trascinato nella polvere.

Fu dunque un altro Jacopino Rangoni (II) che nel 1264 si trovò a Ferrara a seguito della morte di Azzo VII d’Este, favorendo l’ascesa di Obizzo II d’Este a signore di quella città.

Quanto alle conseguenze di Montaperti in Firenze, dopo che, com’è noto, Farinata degli Uberti ebbe convinti gli altri capi ghibellini a non radere al suolo città del giglio, nessuno mise in dubbio la cacciata dei Guelfi nel mentre che gli imperiali esiliati da 9 anni vi rientravano. Fra le casate che dovettero lasciare ogni cosa e cercarsi un’altra sistemazione, Giovanni Villani nelle sue cronache nomina gli Agolanti, gli Agli e gli Adimari che si sarebbero rifugiati a Rimini.

Stemmi degli Agolanti, Adimari e Agli