17 novembre 1228 – San Gaudenzo spodestato, San Giuliano patrono di Rimini
17 Novembre 2023 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Il 17 novembre 1228 (o il 16, secondo Guidantonio Zanetti, se non il 18, stando a Luigi Tonini) Rimini e Città di Castello firmano solennemente un patto di alleanza.
Come scrive il Tonini, «Il Popolo di Urbino era vincolato da obbligazioni solennemente promesse tanto al Comune di Città di Castello quanto a quello di Rimini. Or questi dubitando per avventura della fede degli Urbinati, a meglio contenerli trovarono acconcio di stringer lega fra loro, celebrandola in Città di Castello». La cerimonia si svolge durante il Consiglio generale di Città di Castello; per i Tifernati firma il Sindaco Uberto Armanne, per i Riminesi il suo pari grado Gualterio Caldani.
Patti di questo genere sono molto frequenti in quegli anni e Rimini è una delle città più attive nell’intessere rapporti diplomatici. Ma l’interesse maggiore di questo documento per noi è un altro e si trova proprio al suo incipit, che, come traduce Luigi Tonini «nel volgar nostro suona: “Ad onore di Dio e di Maria sempre Vergine, e del B. Giuliano Martire, e de’ BB. Florido e Amanzio Confessori, e degli altri Santi di Dio, e ad onore di Papa Gregorio e di Federico Imperatore”. Era adunque avvenuto che il nostro Comune avesse preso a Protettore celeste S.Giuliano, come Protettori di Città di Castello esser doveano i Santi Florido e Amanzio».
Lo stesso aveva notato lo Zanetti, che scriveva nel secolo precedente a quello del Tonini: «Si vede menzione di S. Giuliano, come di unico Avvocato celeste del nostro Comune dopo Maria Santissima».
E San Gaudenzo? E Santa Colomba, la co-patrona cui era intitolata la cattedrale? La formula del giuramento li ignora, come non nomina la co-patrona Santa Innocenza, unica autentica riminese fra i tutori della città.
Evidentemente in quel 1228 si era compiuto un processo iniziato da tempo: l’affermarsi del potere del libero Comune in contrapposizione a quello del vescovo.
San Giuliano infatti appare anche sulle monete battute dalla Zecca riminese, pur non spodestando del tutto San Gaudenzo come invece avviene nel trattato tifernate. E continua ad apparirvi per almeno altri due secoli abbondanti, fino ai tempi di Sigismondo Malatesta.
Ed è lo stendardo di San Giuliano che viene issato sul Carroccio del Comune quando i Riminesi vanno in guerra.
Ma perché cambiare patrono? Evidentemente il Comune aveva bisogno di uno strappo simbolico molto forte per affermare che la sua autorità era diventata superiore a quella del Vescovo.
Vescovo era anche Gaudenzo, mentre Giuliano era invece un laico, giovane cavaliere secondo la confusa tradizione che lo riguardava.
La malcelata avversione nei confronti del potere vescovile è espresso nella stessa “Storia di San Giuliano”, come la si può chiaramente leggere anche nella pala di Bittino da Faenza nella chiesa di San Giuliano.
Al momento di trasportare a Rimini l’arca del Santo martire approdata miracolosamente alla Sacramora, si verifica un altro prodigio: i buoi che la trascinano si rifiutano di proseguire verso la destinazione prevista, che era la cattedrale di Santa Colomba, cioè la “casa” del Vescovo.
Si arrestano invece al di qua del Ponte e le reliquie trovano definitivo asilo nell’abbazia benedettina dei SS. Pietro e Paolo, che da quel momento sarà dedicata a San Giuliano. E le grandi abbazie come quella si governavano da sole, del tutto autonome dalla Diocesi di appartenza.
D’altra parte la Curia riminese e, in misura ancor maggiore, quella arcivescovile di Ravenna, erano le legittime proprietarie di gran parte dei beni fondiari e dei castelli della Diocesi e oltre. O meglio, lo erano state, perché proprio impossessandosi di quei beni, con le buone o con le cattive, si era venuta affermando la nuova autorità comunale. Un processo inziato da almeno un secolo se non prima e già sancito da Ferderico I Barbarossa nel 1157, quando l’imperatore aveva investito il Comune di Rimini di ogni diritto legale sul suo territori, concedendogli la facoltà di eleggere autonomamente i propri magistrati e anche il diritto di battere moneta. Diritto in realtà esercitato a livello più che altro simbolico; ma anche sulle monete fece la sua comparsa un seminudo San Giuliano con la sua palma da martire invece di San Gaudenzo con mitria e pastorale vescovile.