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13 novembre 1815 – Rimini abbatte Santa Colomba, la sua Cattedrale


12 Novembre 2023 / ALMANACCO QUOTIDIANO

«Non ostante il ristabilimento della dominazione pontificia si compì nel novembre la demolizione dell’antica nostra Cattedrale sulla piazza del Corso, oggi Malatesta, che dicemmo essersi acquistata dal Romagnoli di Forlì. In quell’occasione tornarono in luce molte iscrizioni antiche…».

Con queste scarne righe riferite all’anno 1815, Carlo Tonini ricorda la scomparsa di San Colomba, il primo duomo di Rimini.

«Non ostante il ristabilimento della dominazione pontificia», appunto. La cattedrale, come molte altre chiese, con l’arrivo dei francesi era stata sconsacrata nel 1798 e ridotta a caserma di cavalleria. Venduti poi ai privati, spogliati e umiliati, alla caduta di Napoleone gli ex edifici religiosi di Rimini erano però tutti ancora in piedi.

Ma la restaurazione del governo papale non significò affatto la loro salvezza, anzi ne vide la scomparsa definitiva. Così accadde, solo per stare ai luoghi sacri più notevoli, all’abbazia di San Gaudenzo o alla chiesetta “bizantina” di San Gregorio fuori le mura, mentre il grande convento di San Domenico, risalente al Duecento, resistette pur sconsacrato fino al termine dell’Ottocento.

Quanto rimaneva di San Colomba ai primi del Novecento

Il millenario duomo della città fu il primo a sparire, né si registrano particolari proteste dei Riminesi. Giudicata pericolante tranne il massiccio campanile, la chiesa venne smantellata per rivenderne marmi, mattoni e coppi. Si salvarono alcune pietre con iscrizioni o facenti parti delle decorazioni scultoree, oggi sparse fra il Museo della Città e il palazzo comunale, come lastre funerarie di vescovi e l’arca del Duca Martino Nel Museo della Città di Rimini sono conservate anche 22 grosse porzioni di un portale romanico che poteva appartenere alla Santa Colomba del XII secolo; sono serviti a ipotizzare l’aspetto di quello della cattedrale.

Ricostruzione ipotetica del portale di S. Colomba (Carlo Valdameri)

Il titolo di cattedrale era già passato prima a S. Giovanni Evangelista (S. Agostino), poi a San Francesco (il Tempio malatestiano). Oggi di Santa Colomba resta solo la torre campanaria, mentre all’interno del moderno edificio privato che la affianca si possono vedere alcuni affascinanti resti delle fondazioni.

Tutta l’area, come è capitato anche in occasione della ricostruzione del teatro, continua a restituire reperti romani e paleocristiani, senza però dar risposta ai molti enigmi su questa parte della città, anzi aggiungendone di nuovi.

Ipotesi ricostruttiva della prima chiesa di Santa Colomba (Carlo Valdameri)

Innanzi tutto, la stessa Santa Colomba: la cattedrale riminese fu dedicata fin dall’inizio alla vergine martire di Sens? In molti lo hanno messo in dubbio, ipotizzando anche che l’originaria dedicazione (avvenuta, altro mistero, non si quando: ai tempi di Costantino come dice la tradizione? O molto più tardi?) fosse allo Spirito Santo rappresentato come colomba. Il culto della Santa gallica si sarebbe sovrapposto solo in seguito, dopo aver “dimenticato” il titolo primitivo. Ma c’è anche l’ipotesi contraria e cioè che il culto della colomba dello Spirito Santo, documentato ancora fino al XII secolo, si fosse aggiunto per un certo periodo a quello della Santa per poi essere abbandonato. Fatto sta che nei documenti altomedievali appaiono a intermittenza entrambe le dedicazioni, che figurano poi insieme nella riconsacrazione della cattedrale nel 1154.

Santa Colomba di Sens

E poi, quale Santa Colomba? I martirologi ne ricordano almeno sette, più addirittura un San Colomba maschio, (il monaco irlandese Colum Cille, in gaelico “colomba della Chiesa”). Una Santa Colomba di Aquileia (vissuta alla fine del IV secolo e sepolta a Osoppo), il cui culto era spesso associato a quello della padovana Santa Giustina che presso Rimini ebbe una sua pieve, apparirebbe la più affine a quella “riminese”; ma non esiste ombra di prova che avvalori questa ipotesi.

D’altronde resta solo una suggestione notare che la Sens di Santa Colomba prenda il nome, assieme alla Senna che la attraversa, dalla tribù celtica dei Senoni, la stessa che abitava a Rimini e dintorni prima dei Romani. Di certo fin da un tempo molto antico i Riminesi si convinsero che fra tante Sante con quel nome, quella venerata in cattedrale con tanto di reliquie fosse quella della Gallia, come ancora si chiamava la provincia non essendovi ancora giunti i Franchi.

Giovanni Baronzio, “Santa Colomba davanti all’imperatore Aureliano” (XIV sec.)

Secondo l’agiografia, Colomba sarebbe stata di origine iberica, senza specificare di quale città, di famiglia nobile e pagana. Valicati i Pirenei, a Colonia Julia Viennensis (Vienne) si sarebbe convertita al cristianesimo quando aveva 16 anni. Per sfuggire alle persecuzioni di Aureliano avrebbe poi raggiunto con altri cristiani Agendicum (Sens). Qui fu rintracciata e rinchiusa in carcere, dove una guardia cercò di violentarla. Ma un orso fuggito da un vicino anfiteatro la salvò e la liberò. Condannata al rogo, un acquazzone ne spense le fiamme. Alla fine sarebbe stata decapitata il 31 dicembre dell’anno 273, vicino ad una fontana detta d’Azon.

Giovanni Baronzio: “Santa Colomriminiba salvata dall’orso”

Dopo eventi miracolosi, sulla sua tomba fu costruita una cappella e, in seguito, nel 620 circa, Clotario II vi fondò l’abbazia di Sainte-Colombe-lès-Sens’. 

Si narra inoltre che alcuni mercanti di Agendicum-Sens, che navigavano nell’Adriatico portando con sé una reliquia di Santa Colomba, furono costretti ad approdare a Rimini. La reliquia fu accolta da Stemnio, vescovo della città dal 313 circa, e posta nella Cattedrale appena costruita al posto di un tempio di Ercole. Ma non abbiamo prove certe neppure sull’esistenza storica dello stesso Stemnio.

In Santa Colomba si sarebbe poi tenuto il Concilio di Rimini, quando vescovo era San Gaudenzo.

Giovanni Baronzio: “Martirio di Santa Colomba”

Nel 1581 monsignor Castelli vescovo di Rimini, nunzio apostolico in Francia, ottenne dai monaci dell’abbazia di Sens una costola e due denti della martire; al suo ritorno a Rimini constatò che combaciavano con le reliquie già in cattedrale; dal secolo XVIII sono conservate in un busto reliquiario ora posto nel Tempio Malatestiano.

In questa “Morte della falsa moglie di San Marino” di Giorgio Picchi (1590 ca.) si vedono le absidi di Santa Colomba rivolte verso la piazza di Rimini

Leggende cariche di simboli che hanno fatto sbizzarrire gli antropologi. Gli spunti: l’orso fra i Greci era sacro alla dea vergine Artemide, la Diana romana, e le fanciulle a lei consacrate di chiamavano “orse”. Mentre la fertile colomba era sacra ad Afrodite-Venere, ma veniva sacrificata anche ad Apollo, all’infernale Ecate e, di nuovo, ad Artemide. D’altra parte, i Galli adoravano la dea-orsa Artio, da cui anche il nome celtico di Artù.

Quanto alle vicende più o meno storiche, l’inspiegabile attrazione di Santa Colomba verso l’Adriatico è continuata nei secoli. Le sue reliquie sarebbero arrivate intorno al XVIII secolo fino a Bari, “portate da alcuni vincenziani francesi in fuga dagli Ugonotti”, come narra la tradizione locale. Se non che gli Ugonotti erano stati sterminati dai cattolici fin dalla notte di San Bartolomeo del 1572, mentre il protestantesimo in Francia dopo la parentesi susseguente Guerra dei Trent’Anni era tornato fuorilegge dal 1685; ben difficilmente nel secolo successivo i pochi “riformati” da tempo alla macchia avrebbero potuto scacciare chicchessia. Un’altra leggenda parla di un miracoloso trasporto effettuato da uno stormo di colombe.

Santa Colomba nella cattedrale di Bari

Le reliquie furono comunque conservate nel palazzo della Missione dei Vincenziani dove ancora oggi esiste una cappella dedicata alla Santa e successivamente traslate in Cattedrale di Bari l’8 maggio del 1939 per volontà dell’Arcivescovo Mons. Marcello Mimmi. E qui si possono osservare. Solo che nella teca, da quanto è risultato dagli esami, sono esposte ossa di incerta provenienza ricomposte con cartapesta in un involucro di stoffa. La testa risulta attaccata al resto dello scheletro, come non dovrebbe essere dopo una decapitazione. Il tutto è ricoperto con un sontuoso abito da seta forse donato da Gioacchino Murat quando era Re di Napoli. La Santa è tutt’ora invocata dai baresi per ottenere la pioggia.

Reliquiario di S. Colomba ad Atri

Santa Colomba appare anche ad Atri, in provincia di Teramo. E’ raffigurata in reliquiario del XVII secolo conservato nel Museo capitolare. Ma la reliquia che contiene appartiene ad un’altra Santa Colomba, appartenente alla nobile famiglia dei conti di Pagliara; i quali, curiosamente, dominavano la valle detta del Mavone, il fiume abruzzese che porta lo stesso nome del torrente riminese. La giovanissima Colomba abbandonò i suoi beni e si fece eremita a Pretara, 1.200 metri di altitudine alle falde del Gran Sasso; verosimilmente visse fra il 1100 e il 1116. Innumerevoli i prodigi e leggende che la riguardano, mentre molti luoghi recano il suo nome. Ma probabilmente nel dover raffigurare la santa eremita senza possederne alcun modello si adottò l’iconografia (con la palma da martire, che la Colomba locale non fu) della più celebre omonima francese patrona di Rimini.

La Rocca e Santa Colomba nella carta di Rimini della Biblioteca Vaticana (1660 ca.)

Tormentate anche le vicende dell’edificio. Sempre secondo la tradizione, come abbiamo visto, la cattedrale di Rimini sarebbe stata fatta erigere nel 313 dal vescovo Stemnio dopo aver distrutto un tempio di Ercole, appena emanato il cosiddetto editto di Costantino che concedeva la libertà religiosa ai cristiani. Ma quell’atto ancora non proibiva i culti pagani (lo avrebbe fatto Teodocio con l’Editto di Tessalonica solo nel 381) e qundi difficilmente un tempio di Ercole avrenne potuto essere già distrutto. Ricostruita più volte, fu consacrata, o riconsacrata, nel 1154. Ospitò le assemblee del libero Comune prima della costruzione del palazzo dell’Arengo. Descritta ormai in pessime condizioni, fu ancora rifatta nel 1430.  Dopo l’ennesima distruzione dovuta al terremoto del 1672, ne fu capovolto orientamento con la costruzione di una nuova facciata nello stile dell’epoca. Fino ad allora il duomo aveva sempre “voltato le spalle” alla piazza e alla città, offrendo alla vista le tre absidi. Le chiese più antiche non tenevano conto dell’urbanistica circostante perché erano orientate con criteri geo-religiosi, un po’ come le moschee che guardano tutte La Mecca; i cristiani guardavano a est.

Ora invece finalmente il duomo aveva una facciata sulla piazza “del Corso”. A quanto pare, la riconversione era stata però arrangiata in economia, tanto che il successivo terremoto del 1786 l’aveva resa quasi inagibile e già fin da allora si parlò di trasferire altrove il titolo di cattedrale.

Dunque nell’ultima versione di Santa Colomba della basilica paleocristiana ormai non restava molto. E anche il suo aspetto medievale, al momento della sconsacrazione, era mutato da quasi 150 anni in quello di una chiesa barocca. 

Piazza del Corso alla fine del ‘700, con la Rocca e l’unica raffigurazione superstite di Santa Colomba nel suo ultimo aspetto (i due dipinti sono andati distrutti nel 1944. Da “Rocche e castelli di Romagna, III”)