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24 febbraio 1321 – Pandolfo Malatesta alla conquista delle Marche


24 Febbraio 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Il 24 febbraio 1321 si firma il trattato fra Pandolfo Malatesta e il Rettore della Marca anconetana, Amelio di Lautrec, abate di San Saturnino di Tolosa e vescovo di Castres. Secondo il patto, Pandolfo “..dovea prendere la condotta delle genti da opporre ai ribelli, nominalmente al conte Federico da Montefeltro et alle città di Fano, Cagli, et Urbino”. Nel 1322 Amelio assediò Recanati costringendola alla resa; entrato in città, incendiò e distrusse le fortificazioni, le case dei capi ghibellini e il Palazzo dei Priori. Nel 1323 Galeotto Malatesta, figlio di Pandolfo, sposò la nipote di Amelio, Elisa de la Villette.

Il Torrione di Cagli

In realtà la situazione è molto più ingarbugliata. Non è il solito incarico militare da parte del rappresentante del Papa conferito a un notorio capo guelfo per combattere ribelli ghibellini ed “eretici”. Il vero nemico di Pandolfo appartiene alla sua stessa famiglia.

Ma chi è Pandolfo I Malatesta? È il più giovane dei quattro figli maschi del grande Malatesta da Verucchio, che Dante Alighieri chiamò “Il Mastino”: colui che visse cent’anni,  almeno seconda la non smentita tradizione. Che fondò la potenza della famiglia impadronendosi nel 1295 di Rimini e subito dilagando nella città circostanti. Pandolfo nasce intorno al 1268 dalla seconda moglie del Malatesta,  Margherita Paltonieri (o Paltronieri, Paltrineri) da Conselice; il nome che porta e che così tanta fortuna avrebbe avuto nell’onomastica malatestiana, gli perviene dal nonno materno, Pandolfo Paltonieri, proprietario di molte terre.

Ai primi del ‘300 il Mastino pare avere molta fiducia nelle doti amministrative dell’ultimogenito: da una certa data in poi quasi tutte le transazioni sono firmate da Pandolfo.

Nel 1304, alla morte del fratello maggiore Giovanni “lo zoppo” (“Gianciotto”), il capofamiglia sceglie proprio Pandolfo per operare sul fronte marchigiano, mentre Rimini è affidata al fratellastro maggiore Malatestino “dall’occhio”. Succede quindi a Gianciotto come podestà di Pesaro e governa anche Fano per conto di Malatestino. Poi sono Senigallia e Fossombrone a entrare nell’orbita guelfa, cioè malatestiana.

La Corte Malatestiana di Fano

Fra alti e bassi, dopo oltre 15 anni di lotte quel che ha guadagnato Pandolfo è molto più di quel che ha perduto. Nel 1312 il vecchio Malatesta muore lasciando a Pandolfo un terzo dei suoi ingenti beni. Nel 1317 pure Malatestino viene a mancare e Pandolfo è signore anche a Rimini. Molesta San Marino, preme su Fano passata momentaneamente ai Ghibellini e sulla stessa loro roccaforte di Urbino, occupa abusivamente Cervia e le sue preziose saline. Non vuole pagare la tallia militum al Papa. Ma Giovanni XXII ha bisogno di lui e deve far finta di nulla: i Ghibellini si stanno rinforzando troppo. Finché dopo laboriose trattative si giunge al patto del 24 febbraio.

Papa Giovanni XXII

Anche perché non c’è più tempo da perdere. Nel marzo 1320 i Ghibellini hanno addirittura invaso il contado riminese uccidendo e devastando: ne fanno le spese Cerasolo, Montescudo e forse Montegridolfo. Sono milizie aretine, pisane, lucchesi, ma alla loro testa c’è Uberto conte di Ghiaggiolo. Nientemeno che il figlio di Paolo “il bello”, l’amante di Francesca ucciso da Gianciotto, entrambi fratellastri di Pandolfo.

Montegridolfo

Dunque un Malatesta. E’ lui il nemico più pericoloso. Non tanto per essere passato ai Ghibellini alleandosi con i Feltreschi (del resto il conte Federico da Montefeltro era figlio di Manentessa di Ghiaggiolo, zia di Orabile Beatrice, madre di Uberto), ma per le sue pretese su almeno una parte dei beni di famiglia sui quali può accampare diritti non del tutto infondati. 

Pandolfo parte alla controffensiva, si impadronisce di Montefabbri e Montegranelli e da lì assedia Urbino.

Urbino nella mappa di Tommaso Luci (1689)

L’8 dicembre 1321, dopo le sentenze di colpevolezza emesse dall‘inquisitore fra’ Lorenzo da Mondaino, papa Giovanni XXII ordina ai Legati di Romagna, Marca e Ducato di Spoleto di bandire una crociata contro il conte di Montefeltro, i suoi alleati e aderenti (le città di Spoleto, Urbino, Osimo e Recanati), riconosciuti colpevoli di eresia e idolatria. Per quanti avessero preso la croce contro questi “eretici”, è prevista la stessa indulgenza che la Chiesa concedeva a chi andava a combattere contro gli infedeli in Terra Santa (“crux transmarina” ).

Urbino si solleva contro i Montefeltro e i Guelfi della città trucidando il conte Federico e suo figlio Guido.  I Ghibellini sembrano dispersi. Nel 1323 il riconoscente Giovanni XXII fregia il vittorioso Pandolfo del titolo di cavaliere. Alla nozze di suo figlio Galeotto con Elisa de la Villette, nipote del legato papale nella Marca Amelio di Lautrec, partecipa tutta l’Italia (guelfa) che conta.

Però il conte Uberto è sempre un pericolo e nello stesso 1323 imbastisce l’ennesima congiura irretendo anche Ramberto, figlio di Gianciotto. Ma il 21 gennaio 1324 è proprio Ramberto a sbarazzare lo zio dell’ingombrante nipote, facendolo ammazzare a tradimento nel suo castello di Ciola e lasciando poi ritrovare il cadavere in un sacco, abbandonato sulla piazza di Mercato dei Brandi (oggi Mercato Saraceno).

Due anni dopo se ne va anche Pandolfo, a quanto parrebbe di morte naturale. La Marca “anconetana” ormai è in gran parte malatestiana.