Home___primopianoCol Generale la guerra è finita, l’Italia è scappata, è vinta, è battuta

Le scelte comunicative dei partiti dànno la piena misura della considerazione in cui tengono l’intelligenza di noi elettori


Col Generale la guerra è finita, l’Italia è scappata, è vinta, è battuta


5 Maggio 2024 / Lia Celi

Per un mesetto possiamo anche disdire gli abbonamenti alle piattaforme d’intrattenimento: il vero spettacolo si chiama campagna elettorale, e fino all’8 giugno sarà quotidiana la gara per stupirci con effetti speciali ed esibizioni spericolate come nemmeno al Festival del Circo di Montecarlo. Prepariamoci anche a veder vacillare pericolosamente la nostra autostima collettiva: le scelte comunicative dei partiti in occasione del voto dànno la piena misura della considerazione in cui tengono l’intelligenza e il buon senso di noi elettori. E dalle loro prime mosse propagandistiche, dai primi messaggi lanciati nei comizi o attraverso i manifesti, emerge con chiarezza che la scarsa fiducia che gli italiani hanno nell’acume dei loro politici è pienamente ricambiata.

Eh sì, anche loro ci giudicano degli imbecilli, qualunque sia la nostra scelta nel segreto della cabina. Anzi, paradossalmente, più siamo orientati a votarli, più loro ci ritengono decerebrati. Non si spiega altrimenti l’appello di Giorgia Meloni a votarla col semplice nome di battesimo, «Giorgia», trasformando la scheda elettorale in un bigliettino amoroso come quelli che ci si passava alle elementari. Evidentemente la premier pensa che la scolarizzazione dei suoi elettori si sia fermata lì, e che abbiano così poca confidenza con la scrittura manuale che dopo aver tracciato sulla scheda le sette lettere di “Giorgia” si accasciano esausti. Chiedergli di vergare le altre sei di “Meloni” è volerli morti. Del resto il simpatizzante di Fratelli d’Italia non è mica un imbrattacarte con tanto tempo da perdere, come i mollaccioni di sinistra. Il suo mondo è fatto di virili aratri per tracciare solchi e gagliarde spade per difenderli. La matita, strumento per imbelli e per bambini, gli scotta in mano. La vittoria alle Europee nasce sulla canna del fucile, come suggerisce il manifesto dell’europarlamentare FdI (in cerca di riconferma) Pietro Fiocchi, immortalato mentre imbraccia una doppietta.

Onestamente credevo che la posa col fucile spianato potesse funzionare solo in certe zone inquiete del Medio Oriente, non nell’Italia fiera delle sue radici romane e cristiane, ma vabbè, nel centrodestra c’è anche chi schiera direttamente i generali. Anzi, il generale più famoso di tutti, Roberto Vannacci, così generale che sulle liste della Lega lo vedremo indicato in una forma che fa pensare (i borghigiani mi perdonino) alle mattonelle di Borgo San Giuliano con i soprannomi degli antichi pescatori: Ravegnani Marino detto Varechina, Giulietti Guerrino detto Furmighin, Vannacci Roberto detto il Generale.

Di generali illustri ce ne sono stati parecchi nella storia patria, da Diaz a Dalla Chiesa, da Cadorna a Figliuolo, eppure l’onore di diventare il Generale per antonomasia è toccato a un tizio che ritiene Mussolini uno statista e che in autobus tastava di nascosto le persone di colore «per capire se la loro pelle fosse al tatto più o meno dura e rugosa della nostra» (lo ha raccontato lui). Chi scriverà solo “Generale” sulla scheda elettorale l’8 e 9 giugno annullerà non il proprio voto, ma ottant’anni di democrazia.

Lia Celi