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E adesso che si trovano dappertutto le mascherine non le vuole più nessuno


12 Luglio 2020 / Lia Celi

Ho già sviscerato l’argomento mascherina quando era introvabile come il mitico Vello d’oro, altrettanto preziosa ma molto più brutta. All’epoca quello squallido pezzetto di tessuto sanitario, in tutte le sue declinazioni, chirurgica, FFP2, con o senza valvola, era diventato uno status symbol. Chi ne possedeva uno doveva avere come minimo un amico farmacista o essere un accaparratore o complice di accaparratori, e veniva sospettato, invidiato, circuito per carpirgli il segreto: come se l’era procurata? Ne aveva qualcuna di riserva?

Vista la penuria, si ovviava con sciarponi e bandane, oppure con mascherine fai-da-te realizzate nei materiali più disparati, dalla carta-forno ai pannetti antipolvere. C’era perfino chi se la dipingeva sulla pelle con il colore del truccabimbi, da lontano l’illusione era perfetta. Quando una farmacia ne riceveva qualcuna, si attivava un passaparola come nemmeno nella Mosca sovietica quando c’era una distribuzione straordinaria di patate. Le chat dei cellulari andavano in ebollizione.

Adesso che le mascherine non solo si trovano a prezzi ragionevoli in tutti i negozi e bancarelle, ma grazie alla creatività sono pure diventate un accessorio-moda carino, elegante, abbinabile all’outfit – e, soprattutto, sono ancora obbligatorie nei locali pubblici e ovunque non è possibile mantenere la distanza – nessuno le vuole più portare.

Quelli che le vedono come un odioso tentativo dei poteri forti di mettere la museruola al popolo. Quelli (e soprattutto quelle) che lamentano malesseri di tutti i tipi, dall’asma alle vertigini all’eczema, dopo averla indossata per soli cinque minuti. Quelli che, articolo sul web alla mano, assicurano che ci si ammala di più malattie con la mascherina che senza. Quelli che sembra che gli sudino più le guance che i piedi, e la mascherina proprio non la sopportano.

Io immagino i bambini, che da quando sono nati devono sopportare cappellini, calzini, bavaglini, magliette di salute, occhiali, plantari e apparecchi per i denti imposti da adulti apprensivi e indottrinati da medici e pediatri, che guardano sconcertati quegli stessi adulti pestare i piedi e fare i capricci per doversi mettere una mascherina per qualche minuto all’interno di un supermercato, o inveire chi gli ricorda che lo prescrive la legge.

E sì che il coronavirus sta rialzando la testa, l’Emilia-Romagna è una delle regioni in cui l’indice del contagio è ancora preoccupante, e per quanto la mascherina sia scocciante, faccia prudere e sudare, e si debba fare uno sforzo anche per ricordarsi di prenderla con sé quando si esce, è per ora una delle poche, ancorché non risolutive, difese di cui disponiamo.

Portarla è un atto di responsabilità nei confronti degli altri e di se stessi. Siamo onesti: ci infliggiamo abitualmente fastidi ben più dolorose – depilazioni, piercing, tatuaggi, tacchi scomodi – che non hanno mai salvato una sola vita, anzi, non hanno mai evitato a nessuno nemmeno un raffreddore. Quindi accettiamo quel pezzetto di stoffa sulla bocca e togliamoci i paraocchi: l’insofferenza e lo spirito di ribellione è meglio riservarli ai veri soprusi.

Lia Celi