HomeCulturaE chissà se le Case del popolo diventeranno Case dei popoli


E chissà se le Case del popolo diventeranno Case dei popoli


6 Dicembre 2020 / Paolo Zaghini

Tito Menzani, Federico Morgagni: “Nel cuore della comunità. Storia delle case del popolo in Romagna” – Angeli.

La storia delle case del popolo può essere raccontata in modi diversi, ma in fondo c’è sempre un’unica motivazione, come del resto ripetono più volte nel libro gli Autori: “Le case del popolo rimandano ad una dimensione corale, non individualista, e anzi profondamente comunitaria e intergenerazionale. Sono state luoghi in cui si sono coltivate la solidarietà, la reciprocità e il mutualismo”.

Il volume è frutto di una intensa attività di ricerca compiuta negli ultimi anni, sotto la spinta del Circolo Cooperatori, l’associazione culturale romagnola nata nel 1993 con il fine specifico di divulgare e promuovere i valori cooperativi. Tito Menzani è docente dell’Università di Bologna, mentre Federico Morgagni è ricercatore presso l’Istituto Storico della Resistenza di Forlì-Cesena.

“In tutta la Romagna, le case del popolo sono un imprescindibile pezzo di identità locale. Ben 570 esperienze di questo tipo hanno costellato le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini in circa 150 anni di storia. Alcune case del popolo sono nate a fine Ottocento, altre attorno agli anni del primo conflitto mondiale, altre ancora nel secondo dopoguerra. Alcune sono state devastate e incendiate dai fascisti, altre hanno chiuso i battenti fra anni ottanta e duemila per mancanza di avventori, altre ancora continuano ad essere attive e a rappresentare un bell’esempio di riferimento culturale e ricreativo per la propria comunità”.

Gli Autori sottolineano come “la dimensione politica è stato un ingrediente importante – forse il principale – di queste esperienze. E’ stata il motore degli entusiasmi e delle passioni che hanno sorretto le case del polo. Ed è stata ciò che ha indotto i repubblicani, i socialisti, i comunisti, gli anarchici e i cattolici a dedicare tempo, soldi e fatica alla costruzione di queste realtà”.

Il libro racconta la storia delle Case del Popolo dall’epoca pionieristica negli ultimi decenni dell’Ottocento, passando per le distruzioni operate dal fascismo nel Ventennio, e poi gli anni d’oro dei primi decenni del secondo dopoguerra, per arrivare infine ai giorni nostri.

Con un lavoro certosino sono state individuate ben 570 Case del Popolo, storicamente esistite o ancora attualmente esistenti in tutto il territorio romagnolo. Di queste 330, ovvero il 57,9%, era di tradizione socialista o comunista. Poi le Case repubblicane con 223 esperienze, pari al 39,1%. Ed ancora le 5 cattoliche, pari allo 0,9%. Ed infine 12 non è stato possibile incasellarle, ma in queste vi era una forte presenza anarchica.
216 Case del Popolo sono quelle costruite in Provincia di Ravenna, 151 quelle nel forlivese, 146 quelle nel cesenate e 57 quelle nel riminese. 208 vennero edificate prima del 1922, 362 dopo il 1944.

In questi edifici, nel corso dei decenni, trovarono spazi per la loro attività partiti politici (PRI, PSI, PSIUP e PCI), la CGIL, la FGCI, l’UDI, l’ANPI, la UISP, associazioni culturali e sportive. L’ARCI, che nasce solo nel 1957, avrà comunque da quel momento un ruolo non secondario nell’attività delle case del popolo.

La routine quotidiana era data dall’attività del bar: “Un bancone con dirimpetto un ambiente con tavoli e sedie. Gran parte degli avventori erano uomini e le consumazioni erano costituite prevalentemente da caffè, bicchieri di vino e liquori. Raramente era previsto il servizio al tavolo. Si discuteva di politica, si parlava di calcio e si giocava a carte. Nelle case del popolo più grandi potevano esserci anche alcuni biliardi. In aggiunta a questa quotidianità routinaria, le case del popolo vivevano di eventi. Più o meno saltuariamente erano organizzate delle feste da ballo, tombolate, serate a tema, spettacoli teatrali o musicali, fino alle ‘mangiate’ o alle pesche di autofinanziamento”.

Questi dati parlano di esperienze molto diverse fra le tre province romagnole: una presenza repubblicana assai accentuata nel forlivese e nel ravennate ed assente nel riminese; di una debolezza complessiva del movimento cooperativo riminese, anche se uno dei protagonisti della storia cooperativa regionale era qui nato: Verenin Grazia; di un ritardo dei partiti di sinistra nel riminese ad investire uomini e risorse nella costruzione di queste realtà.

Fra i 4 casi di studio dei due Autori vi è la storia della casa del popolo di Riccione. Questa, seppur nata l’8 gennaio 1951, “poggiava su un vasto retroterra di esperienze, ben radicate nella fase prefascista”. Questo approfondimento si avvale delle ricerche già compiute da Rodolfo Francesconi ed edite nel volume “Dalla Maison du Peuple alle Cooperative Case del Popolo” (Raffaelli, 2003) e di quelle di Daniele Montebelli ed Ezio Venturi pubblicate in “Viale don Minzoni 1” (Casa del Popolo di Riccione/La Piazza, 2015). A metà degli anni ’50 l’attività della Casa del Popolo poggiava su tre contesti principali: “Il primo era quello politico, poiché era un centro di dibattito e di informazione. Il secondo era quello sindacale, dato che vi aveva stabilito la propria sede la Camera del lavoro. Il terzo era quello aggregativo e ricreativo, perché lo spazio era usato per feste da ballo e altre iniziative analoghe, anche di carattere culturale e sportivo”.

Ma anche a Rimini vi furono, e vi sono, presenze importanti: quella storica nel Borgo San Giuliano (le cui vicende sono raccontate nel bel libro di Giuliano Ghirardelli e Mario Pasquinelli “Al di là del Ponte. Storia del Circolo Primo Maggio al Borgo San Giuliano” edito da Garattoni nel 2013), quella di Viserba (la Soc. Coop. ricreativa culturale Gramsci) con i suoi storici locali la “Sirenetta” e lo “Slego”, la cui nascita è raccontata da Vinicio Vergoni in “Origine e morte di una sirena. Racconti e poesie” (Raffaelli e Hostaria del Terzo, 2018), quella di Ghetto Turco e di Villaggio Nuovo, quella di Torre Pedrera, quella del Circolo Cooperativistico Operaio Cavaretta. Finite male, purtroppo, le vicende della Cooperativa dell’Ina Casa (con lo storico locale “Zeta”) che aveva aggregato anche le cooperative di Vergiano e Spadarolo.

Fuori Rimini molto interessante la storia della Casa del Popolo di Cattolica (la cui storia non è ancora stata scritta da alcuno) legata al mondo della marineria, la realtà aggregativa della Casa del Popolo di San Giovanni in Marignano (attorno al Dancing Moderno), le attività teatrali dialettali della Casa del Popolo di Ospedaletto che da decenni ospita le iniziative della Compagnia La Carovana diretta da Pier Paolo Gabrielli.

Vi è un grande vuoto invece di queste esperienze nella Vallata del Conca e in Valmarecchia: qualche piccola esperienza vi è stata, ma senza riuscire a consolidarsi e ad affermarsi.

Gli Autori, facendosi probabilmente interpreti anche dei tanti interlocutori avvicinati per scrivere il volume, concludono con un auspicio, che è una speranza: “Forse le case del popolo potranno essere domani le ‘case dei popoli’, in una società romagnola sempre più multietnica e multiculturale”.

Paolo Zaghini