Home___primopiano“Facciamo due piade”, ma a Rimini il pranzo in spiaggia è sempre speciale

Chissà quale magica e sfuggente alchimia c'è nell’insalata di riso sull'arenile: e naufragar ci è dolce in questo tupperware


“Facciamo due piade”, ma a Rimini il pranzo in spiaggia è sempre speciale


7 Luglio 2024 / Lia Celi

Nei gesti pre-festivi dei recanatesi osservati da Leopardi nel Sabato del villaggio – la ragazza che torna dalla campagna con i fiori che si metterà fra i capelli e nel decolleté, le vecchiette che rimembrano i balli della giovinezza, l’artigiano che si affretta a finire il lavoro, eccetera – non ce n’è uno dedicato al cibo. Per le vie del borgo niente aromi di ragù che sobbolliscono, niente rumori di mattarelli che stendono, niente aromi di grigliate succulente, niente conversazioni su cosa ci sarà in tavola: a Recanati la cena del sabato e il pranzo della domenica dovevano essere molto parchi, oppure Leopardi era inappetente e non ci faceva caso (del resto la sua passione erano i dolci, in particolare il gelato, che domandò anche sul letto di morte, a Napoli nel 1837. I medici storsero il naso e gli portarono una cioccolata o, secondo un’altra leggenda, un chilo e mezzo di confetti di Sulmona; probabilmente tutt’e due le cose, visto che Leopardi morì la mattina dopo per coma diabetico).

I discorsi e i ragionamenti sul cibo sono invece un aspetto fondamentale del sabato riminese, compreso quello della Notte Rosa, e basta fare un giro al mercato per rendersene conto. Vista la stagione si tratta di menu semplici, per la cena in giardino, in città o in campagna, oppure per il pranzo in spiaggia, ma la spesa e la preparazione, dal prosciutto e melone dell’antipasto all’inevitabile cocomero finale, vengono pianificate con cura strategica e messe a punto attraverso telefonate e messaggi vocali. Se si potesse visualizzarli diventerebbero una nube che avvolge l’intera città, un confortante brusio che racconta il gusto dei riminesi di stare insieme non solo condividendo il cibo, ma anche l’organizzazione del pasto.

Non lasciatevi ingannare dall’apparentemente innocuo «facciamo due piade»: non sono mai due piade qualunque, nemmeno quando sono quelle precotte, e l’accompagnamento di salumi, formaggi o pesce è sempre selezionato attraverso un pellegrinaggio fra i banchi e le bancarelle di fiducia. E nel frigo del bagnino, la domenica mattina, si accumulano pile di tupperware grandi come container con laboriose insalate di riso o paste fredde pronte a soddisfare l’appetito post-bagno, aggirando i prezzi ormai proibitivi dei ristoranti sulla spiaggia. Guardare le famiglie che si apparecchiano ordinatamente la tavola sotto il gazebo, con stoviglie e bicchieri colorati e ogni accessorio possibile e immaginabile è uno spettacolo, tutto l’opposto del cliché neorealista della chiassosa famiglia italiana al mare col pentolone di fettuccine e il fiasco di rosso.

Ovviamente, a officiare il rito del pranzo in spiaggia alla riminese sono per lo più le efficientissime madri indigene, vere e proprie sacerdotesse della cucina da spiaggia. E quando dico sacerdotesse alludo proprio a un potere di transustanziazione che a me è sempre sfuggito, cioè quello di trasformare un miscuglio di riso bollito, verdure, wurstel e formaggio in qualcosa che i figli mangiano volentieri – non solo i loro, ma anche i miei. Mentre quando ci provo io, usando gli stessi ingredienti, la prole arriccia il naso e tutto rimane nel piatto.

Mi domando se la magica e sfuggente alchimia dell’insalata di riso da spiaggia assomigli un po’ a quella che rende unica Rimini, in fondo anch’essa un guazzabuglio disciplinato in cui ingredienti di diverse provenienze da più di duemila anni mescolano sapori e linguaggi in qualcosa di unico. Comunque sia, leopardianamente parlando, naufragar ci è dolce in questo tupperware.

Lia Celi