Mi imbarazza un po’ confessare che ieri sera, non appena Mentana ha comunicato la prima proiezione del voto francese, sono scattato in piedi con l’istintivo bisogno di esibirmi nel gesto dell’ombrello. L’ho accompagnato da un “tié” rivolto a squarciagola contro la fascistona d’Oltralpe e il suo incensatore leghista, il Salvini che, da rinomato iettatore qual è aveva passato settimane a recitare quella sua minacciosa irrisione – “ci rivedremo dopo il 7 luglio” – contro il forzitaliota Tajani che, indovinandone finalmente una, ripeteva “in Europa mai con Le Pen”.
Sono poi seguite alcune gioiose telefonate fra noi “compagni di una vita” (è ancora consentito l’uso di questa parola?), con in più di una caso l’incipit stonato di «Allons enfant de la patrie, le jour de gloire est arrivé!»
Grazie ad un ricordo balzatomi fuori improvviso dalla notte dei tempi, ieri sera ho poi anche colto l’occasione per riabilitarmi di una gaffe commessa in seconda elementare. Fu la volta in cui, stanco di dover sempre concludere, come voleva la maestra, i temi e i dettati col disegnino verde, bianco e rosso, affiancato da “Viva l’Italia”, decisi di sostituire il verde col blu, sembrandomi poi conseguente dover scrivere “Viva la Francia”. L’infamata che subii dall’insegnante ebbe la stessa veemenza di quella dell’anno prima, allorché si accorse solo a dicembre che ero mancino, costringendomi così a rimparare a scrivere con la destra. Credo di aver iniziato in quell’occasione il percorso che mi ha portato a diventare comunista poco più un decennio dopo.
Andando al merito del voto francese, la maggioranza di quell’elettorato, come già altre volte in passato, ha ribadito un postulato inoppugnabile: in democrazia, quando serve a difenderla dagli scippatori, è legittimo “il voto contro”.
Altroché «l’alleanza del disonore», come ha sbiascicato l’ultra-abbacchiato Bardella, il bamboleggiante cicisbeo della Le Pen.
L’ha seguito a ruota Salvini, il portatore di sfiga ad entrambi, il quale se l’è cavata consolandosi che «in Parlamento a Parigi arriveranno mai così tanti nella storia e il ‘tutti contro uno’ non ha ridotto il consenso per Marine Le Pen e Jordan Bardella, ai quali mando un grande abbraccio».
La verità che i dirigenti politici, i militanti di partito e gli elettori francesi artefici di quel risultato, hanno reso onore alla democrazia, perché capaci di conferire l’immediata “prevalenza pattizia” al solo punto di loro generalizzata condivisione, rimandando all’indomani del voto la ricerca delle possibili convergenze di programmi e strategie.
Il giorno in cui Renzi e Calenda consentiranno alla democrazia italiana di poter imitare quella francese, Meloni, La Russa e camerati se ne torneranno a casa.
Si apre ora a Parigi un percorso non facile e dall’esito non scontato, che richiederà a tutti i non lepeniani una seconda puntata di grande responsabilità democratica, senza che vi sia chi tenti di presentarsi con la pretesa dell’asso pigliatutto.
Come ha subito cercato di fare quel gradasso di Mélenchon, a cui andrà ricordato che gli eletti “del tutto e solamente suoi” sono 78 su 577. E che si farebbe ridere dietro continuando a ripetere che Le Pen e Macron sarebbero entrambi gli sconfitti.
Nando Piccari
Post Scriptum
Grazie alla Lega di Salvini tornerà il delinquenziale fetore no-vax?
A quanto pare non verrà esaminato dalla Commissione Affari Sociali del Senato – per estraneità di materia – l’emendamento presentato dal leghista Claudio Borghi finalizzato a cancellare l’attuale obbligo per i bambini e i ragazzi fino a 16 anni ai 12 vaccini, tra cui morbillo, pertosse, rosolia e varicella.
Ma Borghi non se ne cura e anzi ha promesso alla feccia no-vax che lo ripresenterà, perché quell’obbligo vaccinale «crea solo rabbia e violenza».
Meglio dunque qualche bambino morto in più ogni anno.