HomeCulturaLa seta di Rimini, mezzo millennio di splendore e duro lavoro delle donne


La seta di Rimini, mezzo millennio di splendore e duro lavoro delle donne


8 Agosto 2021 / Paolo Zaghini

Cristina Ravara Montebelli: “Le vie della seta a Rimini. Artefici e luoghi produttivi (XVI-XX sec.)” Bookstones.

Avevo un “debito” con Cristina Ravara, una vecchia promessa non mantenuta: quello di raccontare il suo libro sulla lavorazione della seta Rimini. Lavoro frutto di una certosina e paziente ricerca in archivi e vecchissimi testi su questa attività nel Riminese (mi verrebbe da dire un lavoro all’Oreste Delucca).

Il libro è uscito diversi anni fa, nel 2014, ma Cristina Ravara, archeologa, organizzatrice di mostre e convegni scientifici, sta continuando a lavorarci sopra, esplorando nuovi archivi e nuova documentazione, ed è probabile che prima o poi ne nasca un aggiornamento sulla base delle nuove scoperte storiche fatte.

La storia della seta è lunga almeno cinquemila anni. La sua lavorazione nacque in Cina, per poi diffondersi in altri paesi dell’Asia. Importata per secoli in Europa (i romani la conoscevano e l’apprezzavano), qui la lavorazione iniziò ad avvenire solo dal XII secolo in Sicilia ed in Calabria, terre che subivano maggiormente gli influssi dall’Oriente. La coltivazione del baco e la lavorazione della seta si espanse poi in altre regioni italiane e in Europa.

Gli abiti in seta iniziarono ad entrare nei guardaroba delle classi sociali più ricche di tutta Europa, diventando un bene di lusso ambito. Ma l’allevamento dei bachi fu anche un importante reddito di supporto all’economia agricola e la produzione e commercio di tessuti in seta, assieme a quella della lana, un’industria molto redditizia che diede ricchezza e potere alle corporazioni che la praticavano.

La ricerca di Cristina Ravara nasce nell’ambito del progetto di ricerca “Patrimonio culturale a Rimini e in Romagna: Archivi per il Fashion e la Moda tra Ottocento e Novecento” del Campus universitario di Rimini. Scrive nella Presentazione Daniela Calanca: “L’autrice ricostruisce in modo originale, tra persistenze e mutamenti, le vie della seta a Rimini, gli artefici e soprattutto i luoghi produttivi, nell’arco cronologico compresa tra il XVI e il XX secolo”.

La prima traccia sulla presenza dell’allevamento dei bachi lo abbiamo nel 1581 quando venne edito il volume “Il vermicello della seta” di Giovanni Andrea Corsucci, di Sassocorvaro, stampato a Rimini. Un vero e proprio trattato con scopi didattici rivolto alle donne, scritto per questo in italiano e non in latino. A testimonianza dunque di un’attività svolta già da tempo nei nostri territori. L’opera è suddivisa in tre parti: nascita, crescita dei bachi da seta, i tempi e i modi dell’alimentazione con le foglie di gelso, le malattie e i rimedi; la lavorazione della seta e i tipi di tessuto che con essa si producono; infine i colori con i quali è possibile tingerla.

Che la lavorazione del baco fosse una questione delegata alle donne … ci sta. Ma il consiglio che il Corsucci dà sulla crescita delle uova ci lascia non poco perplessi: “Le uova devono essere deposte al caldo ovvero ‘covate’ quindi le donne possono metterle fra due cuscini di piume riscaldati al fuoco di giorno, e di notte porle sotto il proprio cuscino per mantenere il calore, ma il sistema migliore e più diffuso è questo: ‘che voi donne le teniate in covo nel seno, ma avvertite bene, che siate monde dalle vostre infirmità […]. Meglio saria, che le giovinette le covino, ma ancor lor monde come di sopra, che gli daranno molta forza’”.

Ma è dalla metà del 1600 che Cristina Ravara incomincia a trovare documenti sui dati di produzione, i prezzi, gli stabilimenti, i produttori che a Rimini sono attivi. Fra questi documenti il testamento di Francesco Manganoni del 1689, “ben noto agli storici d’arte per aver commissionato alcuni quadri al pittore Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino, che “riserva interessanti informazioni non solo sulla sua attività di mercante di stoffe pregiate, ma anche di ‘trattore’ di filo dei bozzoli, di tessitore di varie tipologie di pezze e nastri di seta, ma soprattutto di filatoiere di organzino nel suo filatoio, fornendoci un raro e dettagliato elenco delle macchine e degli utensili impiegati per tutte queste attività”.

A metà del 1700 in questa “industria” nel Riminese, allora territorio dello Stato Pontificio, sono occupate più di 2.000 persone, fra uomini e donne, in undici filatoi. Poi gli anni della crisi del primo decennio dell’Ottocento.

Fra i filandieri riminesi attivi nel XIX secolo Cristina Ravara ci racconta le vicende dei Ghetti, dei Tintori, dei Gardini, dei Serpieri, degli Aducci (titolari della “più longeva e più rinomata filanda riminese”). Mentre la storia delle famiglie Manganoni e Zollio ce la racconta Samanta Bruschi. Sono questi i nomi delle principali famiglie riminesi, che oltre alla seta crearono attività industriali (come i Ghetti della fabbrica di fiammiferi) o gettarono le basi del turismo riminese (come i Tintori che con i Baldini nel 1843 diedero vita al primo Stabilimento Bagni).

Le schede compilate dei 17 comuni del Riminese dell’Inchiesta Jacini del 1879 sulle condizioni della classe agricola italiana poco o nulla ci dicono sull’allevamento dei bachi e sull’attività delle filande.

La produzione di bozzoli in Italia comincia a declinare nel periodo tra le due guerre mondiali fino a scomparire dopo l’ultima, a causa di due fattori: la produzione di fibre sintetiche e il cambiamento dell’organizzazione agricola.

Scrive, a chiusura del volume, Cristina: “Abbiamo tentato di far conoscere, attraverso i documenti d’archivio, una attività industriale che rivestiva grande importanza per l(nell’immagine in apertura: Lavorazione dei bozzoli da seta in Lombardia nel 1941. Da lombardiabeniculturali.it)’economia della nostra città e di alcuni Comuni del Circondario”.

L’Associazione dottori in agraria e forestali di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini il 30 novembre 2020 ha organizzato un seminario dal titolo “E’ pensabile il ritorno della gelsibachicoltura in Romagna?”. Mi domando: chissà se avranno usato per le loro riflessioni il libro di Cristina Ravara Montebelli?

Paolo Zaghini

(nell’immagine in apertura: Lavorazione dei bozzoli da seta in Lombardia nel 1941. Da lombardiabeniculturali.it)