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E Roma venne fino al Rubicone


31 Luglio 2022 / Paolo Zaghini

Roberto Garattoni: “Romagna romana. Cronache del Rubicone antico da Brenno a Giulio Cesare” – Pazzini.

Roberto Garattoni è nato a Savignano sul Rubicone, classe 1944, ricercatore storico, autore di diverse pubblicazioni. In questo volume raccoglie il frutto di oltre mezzo secolo di ricerche sulla Romagna in età romana, da quando l’area riminese era “il limes romano, il confine sacrale, la fine dell’Italia romana e l’inizio di qualcos’altro” sino a quando Augusto portò il territorio nazionale al confine delle Alpi.

I Galli Senoni occuparono la Romagna e l’intero territorio marchigiano dopo aver cacciato o sottomesso le popolazioni italiche attorno al 400 a.C., prima che la nascente potenza di Roma alla fine del II secolo a.C., con campagne di annientamento dei popoli gallici, operò la piena romanizzazione del territorio. La pubblicistica romana, “con chiaro intento di propaganda a discredito e spirito di rivalsa per le passate umiliazioni subite”, dipinge i Galli come “seminomadi come tutti i popoli della pianura, incapaci di governare ampi territori e di erigervi vere città, dediti alla caccia, all’agricoltura e alla pastorizia, ignari di scienza e di arte, inclinati alla guerra e alla rapina, avendo come unici beni riconosciuti il bestiame e l’oro che sempre si possono portare ovunque con sé”.

Nel 268 a.C. i romani fondarono Rimini come colonia di diritto latino. Secondo una valutazione dello storico Gino Bandelli, ordinario di Storia romana, a Rimini vennero inviati “6.000 uomini con mogli e figli: il che significò il trasferimento nella Cisalpina sud-orientale di una comunità comprendente dalle 18.000 alle 24.000 persone”. Compresi gli schiavi. A parere di Gian Carlo Susini, uno dei massimi studiosi di epigrafia latina, fra il 268 e il 266 a.C. “fu bonificato e appoderato un vasto territorio fra il Marecchia e il Rubicone, ed occupato il territorio sulle due sponde del Marecchia a mezzogiorno sino al Conca ed a settentrione almeno sino al Rubicone”. E commenta Garattoni: “Dunque, a tempo di record, per qualche motivo strategico i Latini poterono avere ragione delle ostilità dei luoghi come avevano avuto ragione delle ostilità degli abitatori, col ferro e col fuoco”. Occupazione e costruzione avvenuta “un istante prima dell’inizio delle guerre puniche”.

Lo storico savignanese ci racconta ampiamente dei lavori di centuriazione del terreno romagnolo, del collegamento a Roma con la via Flaminia nel 220 a.C. e della costruzione della via Emilia (fra il 199 e il 187 a.C.). Ma soprattutto mette l’accento sulle vicende che portarono Roma ad occupare il resto d’Italia: “Oltre all’effetto dell’omologazione e unificazione politica delle popolazioni italiche, allora il costante pericolo ai confini, l’aggressività e l’incessante pressione gallica ottennero di ‘costringere’ i Romani ad estendere progressivamente il loro controllo militare su tutta la Padania”.

Ma la domanda che si pone Polibio nelle sue “Storie” è “come potè Roma in appena mezzo secolo, dall’inizio della guerra annibalica alla resa di Grecia (220-168 a.C.) farsi padrona dell’intero mondo allora conosciuto, o del mondo che valeva la pena di conoscere, nei tre continenti affacciati sul Mediterraneo”. Polibio “come politico e quindi anche come storico, era affascinato dalla capacità organizzativa, dalla efficienza, dalla chiarezza di visione e dalla lungimiranza strategica che i Romani avevano mostrato ad ogni cruciale snodo della loro storia”.

Rimini già in fondazione era definita di “diritto latino”, cioè non formata propriamente da cittadini romani; “dotata di una certa autonomia da Roma, con possibilità di avere un senato e organi di governo propri, competenti in tutto tranne che in politica estera e in materia di guerra. In generale le colonie di cittadini Romani erano simili a presidi militari, con una guarnigione a numero ristretto. Invece quelle di diritto latino erano di popolazione mista, costituite anch’esse principalmente per la difesa ma non di meno con scopi di ripopolamento e di incremento demografico”.

La questione della riforma agraria tenne banco per decenni a cavallo del I sec. a.C.: “Con la riforma agraria si cercava di invertire la tendenza all’accentramento dei fondi in poche mani e di rilanciare la piccola proprietà, che del resto aveva sempre assolto anche alla funzione di garantire i quadri di base dell’esercito, dove agli uomini necessitava un minimo censo per provvedersi degli armamenti”. Ma la questione militare si risolse non con la riforma agraria, ma qualche decennio dopo, ai tempi di Caio Mario, “con l’introduzione della pratica del ‘salario’ con la divisione dei bottini e della ‘pensione’ con l’assegnazione di terre e dunque la nascita del soldato di mestiere”.

Nella guerra civile fra l’ottimate Silla e il popolare Mario, Rimini “fu del partito mariano e per questo subì l’occupazione militare sillana, le vendette e anche le distruzioni materiali portate da questa fazione vincente”. Silla vinse sul campo contro tutti i suoi avversari e occupò militarmente Roma nel novembre dell’82 a.C., uccidendo migliaia di prigionieri e sterminando gli avversari politici. Rimini nella stagione dei Gracchi e della guerra civile vide un consistente calo della sua popolazione per emigrazione, o fuga, per ragioni politiche, dalla città.

Il volume si conclude con la storia della vicenda di Giulio Cesare nel 49 a.C. raccontata attraverso gli scritti di Svetonio, Plutarco e Tacito. Dopo dieci anni Cesare ritorna vittorioso in Italia. Il Senato gli ordina di deporre le armi dei suoi legionari al confine dell’Italia, cioè sul Rubicone. Il 10 o l’11 gennaio del 49 a.C. Cesare lo attraversa, alla fine dell’anno venne eletto dittatore, il 15 marzo del 44 a.C. venne ucciso.

Garattoni infine ricostruisce la lunga, secolare, querelle su quale sia il fiume che Cesare attraversò proclamando “alea iacta est” (il dado è tratto). “Tutte le teorie a sostegno del Pisciatello cesenate o dell’Uso riminese si basano su atti di fede”. Il Rubicone è quello che passa per Savignano. Punto.

“Nasce da una piccola sorgente e scorre con un filo d’acqua negli ardori dell’estate, serpeggia nella valle segnando distintamente il limite fra il territorio dei Galli e i campi coltivati dai coloni italici” (Marco Anneo Lucano nel suo poema epico “Pharsalia”, Lib. I vv. 213-216, scritto fra il 61 e il 65 d.C.). Il Rubicone, in oltre duemila anni, grazie a Cesare, è il corso d’acqua (“fiume è una parola grossa”) più conosciuto al mondo. Più del Nilo, del Volga, del Gange, del Mississipi dello Yang Tze.

Se un appunto posso muovere a questo enciclopedico volume di storia romana in Romagna è che la ricchezza delle citazioni presenti avrebbe meritato una bibliografia finale.

Paolo Zaghini