Home___primopianoFu allora forse che Fellini decise di pacificarsi con le proprie radici

Federico aveva scoperto che la Rimini reale non era poi così dissimile da quella fantasticata?


Fu allora forse che Fellini decise di pacificarsi con le proprie radici


5 Novembre 2023 / Giuliano Bonizzato

Un modesto contributo ai numerosi omaggi che la nostra città ha riservato al suo figlio più illustre nel trentesimo anniversario della scomparsa.

Quando si rese conto che il termine ‘fellinesque’ faceva ormai parte del linguaggio corrente, Federico Fellini osservò scherzosamente, nel corso di una intervista, che questo aggettivo poteva essere tradotto nel romanesco ‘fregnacciaro’.
Fregnacciaro. A Rimini diciamo ‘sburone’…

Bruno Sacchini, attento osservatore degli usi e costumi malatestiani, sostiene, in un suo saggio, che il riminese tipo altro non è che un “guascone creativo, un folle ludico, uno sburone cui piace dar l’assalto al cielo e sfidare il mondo intero pur di dimostrare che come lui non c’è nessuno”. E aggiunge che rappresentante all’ennesima potenza di questo tipo umano sarebbe, per l’appunto, Fellini. Sono perfettamente d’accordo con l’Autore dell’esilarante piece teatrale “Federico!”. E continua a stupirmi il fatto che, nella nostra città, vi sia ancora chi sostiene che il Regista, avendo lasciato Rimini per Roma all’età di diciannove anni, non sia ‘uno dei nostri’, quasi che i primi vent’anni della vita non rappresentino quelli fondamentali per la formazione del carattere e l’esplodere della creatività.

Per fortuna abbiamo cominciato piano piano a capire di che pasta siamo fatti. E a comprendere, di conseguenza, che la sburonaggine nel suo significato più nobile (il che è dire la hubris della Mitologia Greca, Prometeo che ruba il fuoco agli Dei per donarlo agli uomini) rappresenta, da sempre, la nostra carta vincente anche se “l’assalto al cielo” di cui parla Bruno, da noi, è stato condotto da singoli, avventurosi, solitari personaggi che hanno strappato all’Olimpo il fuoco del Pio Manzù, di San Patrignano, della Prima Televisione Privata, della Prima Discoteca, della Sagra Malatestiana, delle Case Famiglia, del Meeting, del Jazz Tradizionale e molto altro materiale incandescente.

Tutti figli di una Città che ha spedito alla conquista del mondo assieme a colui che doveva cambiare i connotati al cinema, i compagni di banco Carlo Alberto Rossi, rivoluzionario della musica leggera e Sergio Zavoli inventore del giornalismo televisivo.

Siamo stati dunque indotti, nel tempo, ad affrontare una sorta di autoanalisi che ci ha progressivamente avvicinato a chi, prima, tendevamo a esorcizzare proprio per le caratteristiche nelle quali rifiutavamo di riconoscerci.

Forse anche Federico aveva scoperto, durante la sua degenza all’Ospedale di Rimini, che la Città reale non era poi così dissimile da quella fantasticata.

Eccoli lì, i suoi personaggi, a sfilare davanti al suo letto tutti in fila, Sindaco in testa, come nella scena finale di Otto e mezzo…

Fu allora forse che decise di pacificarsi con le proprie radici, ritrovando una nuova dolcezza, da assaporare al tramonto della vita assieme a Mario, a Titta e a tanti altri amici della sua giovinezza riconosciuti, ora, nella loro dimensione più vera.

Il destino ha voluto un ritorno diverso.
Nel silenzio commosso dell’immensa folla, che, nella triste occasione, lo circondò, si sentirono finalmente battere i cuori di tutti coloro che il suo cuore immenso aveva catturato in mezzo secolo di sogni.

Giuliano Bonizzato

(In apertura, l’immagine finale de “I vitelloni”)