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Il generale omofobo si sente discendente di Giulio Cesare il bisessuale e di Enea il profugo sul barcone

Non bastavano le oramai frequenti comparsate a Rimini della Meloni e di Salvini ad offrire un borioso trastullo ai più malmostosi dei loro fan, ci voleva qualcosa di più. A questo ha provveduto l'editore riminese Adolfo Morganti, noto, oltreché per le sue attitudini professionali, per non essere a tutt'oggi ancora riuscito a rassegnarsi al “sopruso risorgimentale” che ha sottratto la Legazione delle Romagne al dominio del Papa Re. Di qui l'ammirazione che s'è conquistato da quei pretoni coi sottanoni che irridono il Concilio Vaticano II continuando ad officiare le funzioni religiose in latino, nel mentre rivolgono le terga ai fedeli, per non dar loro un'indebita confidenza. Bisogna riconoscere che Morganti è stato davvero bravo a mettere per primo gli occhi sulla “gallina dalle uova d'oro” Vannacci. Anche se avrà dovuto turarsi un po' il naso, per la fatica di riuscire a conferire una “parvenza letteraria” a quella che di primo acchito deve essergli parsa una ciofeca editoriale, almeno stando alle sue parole: «Non credo che il libro di Vannacci passerà alla storia della letteratura. L’ho trovato un libro disastroso (

Un'amicizia nata nel 1965 e mai venuta meno (anche se mi fece abbandonare il pallone)

Prima ancora che come Assessore del PCI, nel 1965 avevo conosciuto Cagnoni allenatore del Viserba Calcio. Dopo aver giocato con alterne fortune nella Sanges di Don Pippo e Don Valerio, grazie al contributo finanziario di Don Angelini, Parroco di San Fortunato, l'anno prima avevo “fondato” insieme a Bruno Frisoni L'Olympic, destinata poi a diventare il “sacco delle botte” nel campionato Juniores. Ma pure se sconfitti, disputammo proprio a Viserba una delle nostre migliori partite, l'ultima di campionato. Al punto che alla fine il dirigente accompagnatore della squadra locale propose ad alcuni di noi di tornare di lì a qualche giorno per un “provino”. Fu in quell'occasione che vidi per la prima volta Lorenzo Cagnoni, di cui non solo a Viserba si sentiva molto parlare per i successi della squadra sotto la sua guida. Nella partitella che ne seguì segnai due gol, per cui quando alla fine lui mi fece un cenno serioso di avvicinarmi, mi aspettavo di ricevere dei complimenti. Invece mi chiese a bruciapelo quanto pesassi e alla mia risposta aggiunse: “Allora devi perdere tre chili”. Cosicché nei due successivi allenamenti dovetti fare solo dei gran giri di campo, senza toccare il pallone. Fu così che mi rassegnai a lasciar perdere le velleità

E quale qualifica bisognerebbe dargli nella targa dell'intitolazione?

Premetto che se qualcuno mi desse del perbenista, o peggio ancora del moralista, gli risponderei per le rime. Dopodiché aggiungo di aver letto, a poca distanza di tempo l'uno dall'altro, i due articoli usciti domenica in riferimento all'eventuale intitolazione di una via a Zanza. Uno è di Bonfiglio Mariotti, che sul Carlino ha espresso un convinto diniego; mentre Gibo Bonizzato, su questa testata, si è invece mostrato ampiamente possibilista. Per una di quelle impreviste sorprese che ogni tanto capitano nella vita, devo dire che sono pienamente d'accordo con Mariotti, che pure dei due mi è il più distante culturalmente. Come dicono a Napoli,“Ogne scarrafone è bell'a mamma soja”. Dunque comprensione e rispetto per l'uscita con cui la madre di Zanza ha chiesto quell'intitolazione al figlio, di cui continua inevitabilmente a soffrire la perdita. Certo, la cosa fa discutere, anche se non si trova alcun riscontro dei “racconti giornalistici” sulla «Rimini che si divide», o sul «dibattito infuocato che si è scatenato sulla proposta di intitolare a Zanza una via o una rotonda». Anche perché, diciamo la verità: se oggi partisse un sondaggio con la domanda “Vuoi tu intitolare una via o una rotonda a Zanza?” il risultato, numero più numero meno, darebbe un 10% di “sì”,

E sono le stesse cose scritte da Giorgia Meloni nel libro firmato assieme ad Alessandro Meluzzi

All'inizio si poteva sospettare che il mondezzaio di oscenità fascistoidi, razziste, omofobe e tant'altro, contenute nel libro di un generale che incredibilmente ha funzioni di comando nell'Esercito della nostra Repubblica democratica, fosse frutto del suo solitario “andar via di testa”. Dalla solidarietà, via via crescente, ricevuta nei giorni immediatamente successivi s'è invece capito come quell'individuo, forte della sua divisa, fosse stato mandato in avanscoperta, a mo' di coglioncione. Da chi? Da un bel fascio di Fratelli d'Italia, con l'aggiunta di altro generico cascame di estrema destra, più Sgarbi e Salvini, tutti uniti dallo scontento per le evidenti finzioni neo-moderate in cui si sta esercitando con pacchiano impegno la Meloni. Ma siccome alla cretineria non c'è mai fine, ecco aggiungesi ai difensori del Vannacci nientepopodimenochè il “comunista ridolini” Marco Rizzo: «Altro che frasi omofobe, il generale fatto fuori per le sue idee sull’uranio». Adottando il “parlare a nuora perché suocera intenda”, è un po' come se sotto sotto le stessero dicendo: “Guarda che gran parte di nostri elettori ti ha votata perché fino a ieri non ti vergognavi di far vedere che la pensi come quel Vannacci lì. Attenta a fare troppo la signorinella accomodante sia col Quirinale che con Bruxelles, perché Alemanno

Si devono accontentare di rimanere “fascisti dentro” ma ogni 2 agosto qualcosa devono pur mistificare

Lì per lì anch'io, credo come tanti, mi sono divertito a confrontare queste due foto che testimoniano di un così diverso quantitativo di truculenta imbecillaggine fascista accorsa a Predappio in momenti diversi, a festeggiare il compleanno del suo truce pelatone: sopra il foltissimo gregge degli anni passati, sotto il disorientato gruppuscolo di sfigati ritrovatisi lo scorso 30 luglio. Ma a ben pensarci c'è poco da essere allegri, perché una così marcata diminuzione di mondezza a Predappio non è frutto dell'insorgenza di imbarazzi e men che meno di ripensamenti. Corrisponde invece al disegno ben preciso di tanti neofascisti che, per non far danno alla Meloni ed ai camerati che sono con lei al governo, hanno capito di doversi accontentare di rimanere “fascisti dentro”, sforzandosi di non darlo più a vedere. Cosicché l'unico saluto romano che si concederanno sarà d'ora in poi quello ai familiari, uscendo di casa al mattino. Tuttavia le cronache evidenziano come non siano pochi coloro che faticano rassegnarsi ad un simile cedimento finto-democratico, da loro considerato una vera e propria diserzione. La ricorrenza della strage fascista del 2 agosto (io, come si dice, “l'ho scampata per miracolo”) ha così fornito a taluni di costoro l'occasione per ostentare la turpitudine di

Mattarella: «Il cambiamento climatico è la sfida chiave del nostro tempo». Ma il leghista: «Basta con i catastrofisti del cambiamento climatico»

«C'è gente che parla per riempire il vuoto della sua intelligenza» (Alda Merini) Come si sa, la Giunta di Renata Tosi è riuscita, un attimo prima di togliesi di mezzo, a consegnare l'ultimo infausto regalo a Riccione, defenestrando dai seggi elettorali del 2022 tanti capaci presidenti e scrutatori di lungo corso, sostituiti da una claque di più fidati pasticcioni, autori di casini risoltisi in un furto alla maggioranza di centrosinistra, uscita vincitrice con un vantaggio di più di duemila voti sulla destra. Anziché vergognarsi per aver contribuito ad arrecare un simile danno alla sua città, la cicisbea Raffaelli se n'è uscita col dire «meglio andare avanti così». Per questa legaiola dall'eloquio raccogliticcio è dunque preferibile che a dirigere il Comune sia una presenza che, pur con il dovuto rispetto istituzionale, può ben dirsi estranea alla città e catapultata da chissà dove, piuttosto che una Sindaca eletta democraticamente. Ma forse non è Elena Raffaelli la più assatanata nemica del democratico responso elettorale dello scorso anno, perché fra i salviniani e i meloniani della Perla Verde c'è sicuramente chi avrebbe preferito addirittura il Podestà e ora fa fatica ad accontentarsi del Commissario prefettizio. La strigliata di Morrone a Mattarella Nel corso della recente “Cerimonia della consegna del

Ma questa volta non sentiremo Meloni e Salvini dirsi "disgustati" come per babbo Grillo

Diventa talvolta inevitabile rassegnarsi a subire un'ondata di masochismo, allorché si intenda seguire fino in fondo un evento che suscita un interesse a metà strada fra il disgusto e il godimento. Come mi è successo mercoledì scorso, quando mi sono imposto, costasse quel che costasse, di assistere in diretta televisiva al fastidioso strepitare della Santanché in Senato. Nonostante tentasse in ogni modo di apparire in sintonia con il nomignolo “Pitonessa” di cui va tanto fiera, la flatulenza oratoria pareva invece farla assomigliare ad una “Pescelessa”, per di più terrorizzata dall'eventualità che il finale della vicenda in cui è immersa fino al collo fornisca un buon motivo per farla chiamare ”Bidonessa”. «È in atto una campagna di vero e proprio odio nei miei confronti», è stato il suo urlato lamento. Come se ci fosse davvero qualcuno che, con tutte incombenze imposte dalla vita, trovasse il tempo e la voglia di mettersi a odiare la Santanché e magari, di già che c'è, pure il suo sodale Briatore. Il quale all'indomani di quell'esibizione caciarona in Senato ci ha tenuto a far sapere: «Le avevo pure sconsigliato di riferire in Senato. Non so perché è andata. In un Paese normale le direbbero chapeau, qui si

E la ministra Roccella si scaglia contro i nomi troppo "umani" che diamo a cani e gatti

Settimana politica intensa, quella appena conclusa. A dominare la scena internazionale gli eventi terroristici dilagati in Francia, fatti passare per atti di solidarietà verso gli immigrati, i loro figli oggi Francesi e gli emarginati in generale. Non c'è dunque da stupirsi che Salvini commenti la vicenda esibendosi in una delle sue mistificanti gradassate: «Una spirale di violenza che è il risultato di anni di errori e follie ideologiche in tema di immigrazione, soprattutto islamica», di cui la sinistra è ovviamente responsabile. É vero esattamente il contrario. Si tratta invece di una violenza favorita, e in molti casi diretta, dalla criminalità organizzata e dalle bande fasciste della sua amica Le Pen, supportata pure da quell'osceno pagliaccio di Jean-Luc Mélenchon, non a caso esaltato dalla repellente pseudo-Unità di Sansonetti. Invece a Bruxelles è andato in onda un evento di tutt'altro genere: la riunione del Consiglio dell'Unione Europea, alla ricerca dell'accordo finale sul Patto Ue relativo a Immigrazione e Asilo. Una riunione particolarmente impegnativa e comprensibilmente non priva di tensioni, che grazie alla Meloni ha tuttavia avuto un finale comico. L'ungherese Orban e il polacco Morawiecki, due dei fascistoidi del Gruppo di Visegrad (altrimenti detto Gruppo dei Visdecaz), avevano preannunciato la volontà far mancare, com'è poi avvenuto,

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