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Massimo Tamburini nasce a Rimini il 28 novembre 1943; la sua è una numerosa famiglia di contadini, che nel 1954 lascia la terra e si trasferisce alla Grotta Rossa. Il padre lavora nei trasporti ed è un grande appassionato di meccanica; quando vede che Massimo condivide questo amore, lo iscrive all'Istituto Tecnico Industriale di Rimini. Il ragazzo, per problemi di salute, non ce la fa però a conseguire il diploma. Massimo però non molla e frequenta diversi corsi di formazione professionale per imparare più che può. A 18 anni va a lavorare come tecnico di caldaie. E sposa Pasquina, che gli darà i tre figli Morena, Andrea, Simona. Nel 1966 insieme a gli amici Bianchi e Morri  fonda un'azienda di riscaldamento e climatizzazione: dalle loro iniziali si chiama Bi.Mo.Ta. Da sempre grande appassionato di moto e frequentatore di circuiti, nel 1971 Tamburini fabbrica a tempo perso la sua prima motocicletta, realizzando una "special" sulla base di una MV Agusta 600 Turismo 4C 6 comprata di seconda mano. E' la prima di una serie di creazioni che Tamburini realizzerà per Bimota, Cagiva, Ducati e MV Agusta. E che per innovazioni tecniche e perfezione formale lo faranno definire "the Michelangelo of motorcycling".  https://archivio.chiamamicitta.it/vogliamo-ricordare-alla-grande-michelangelo-delle-moto/ https://archivio.chiamamicitta.it/massimo-tamburini-dal-sogno-alla-realta/     Nel 2012 Rimini ha conferito il Sigismondo

Dopo una brillante campagna nella Marca e nel Montefeltro, Sigismondo Malatesta fa appena in tempo a godersi il suo trionfo a Rimini che il 21 agosto 1446 arriva la notizia: Feltreschi e Sforzeschi sono in grado di passare alla controffensiva. Francesco Sforza ha attaccato da Pesaro Pieve de la Trassola, sul Foglia. E Sigismondo deve accorrere per tamponare una scorreria del conte Dolce dell’Anguillara a Monteluro. Sembrano scaramucce. Invece, come annota sbrigativamente l'urbinate Pierantonio Paltroni, segretario e primo biografo del Duca di Urbino, ("Commentari della vita et gesti dell'illustrissimo Federico Duca ďUrbino"), lo Sforza «se andò a campo a Gradara dove si stette quaranta die, che may fece altro che piovere et mettere neve continuamente con grandissima tempesta, intanto che may fo pusibili a dare battaglia». Più o meno sulla stessa sintetica - e reticente - linea il racconto di un altro cortigiano di Federico da Montefeltro, il suo cancelliere Ser Guerriero da Gubbio: «El signore mes. Alixandro (Sforza) che havea abandonato el conte suo suo fratello (Francesco, futuro Duca di Milano), vedute le cose prospere, se retornò; a li preghi del quale prefati conti con lo exercito andarono a campo a Gradara, dove per uno tempo teribilissimo campegiaro er bambardaro; et

Il 26 novembre 1917 a Riccione c'è un tempo da lupi. La pioggia è ormai nevischio e la bora spazza il mare, che vicino alla costa si solleva in ondate impressionanti, trascinando verso la costa una nave che disperatamente cerca di riguadagnare il largo. E' il cacciatorpediniere della Regia Marina Italiana "Zeffiro". [caption id="attachment_67576" align="aligncenter" width="663"] Il cacciatorpediniere "Zeffiro" in navigazione[/caption] Ne «Il “naufragio” dello ‘Zeffiro’ a Riccione - Fogliano, 26 novembre 1917 - Atto eroico di Gianbattista Joris» (Edizioni la Piazza - 2012), Fosco Rocchetta ha ricostruito un episodio rimasto nelle memoria dei Riccionesi, avvenuto durante uno dei periodi più drammatici per l'intero Paese. Appena un mese prima, il 24 ottobre, l'esercito italiano aveva subito la disastrosa sconfitta di Caporetto: oltre 40 mila fra morti e feriti, 265 mila prigionieri, un'armata annientata, le altre in rovinosa ritirata. Sconfitta, ma non disfatta: proprio quel 26 novembre sul Piave si stava combattendo la battaglia decisiva, quella che avrebbe arrestato l'avanzata austriaca, giunta ormai a pochi chilometri da Venezia e sul punto di invadere tutta la Val Padana. Intanto, però, mezzo milione di profughi friulani e veneti si erano dovuti riversare dietro le linee italiane, di fronte agli austro-ungarici inferociti dal desiderio di vendetta per il "tradimento" italiano

Sul tribunale dell'Inquisizione si sono versati e si verseranno fiumi d'inchiostro. Una delle infamie peggiori di cui si macchiò la Chiesa o solo una "leggenda nera" imbastita soprattutto in ambienti protestanti? La verità storica, come sempre, ha molte più sfumature; senza dimenticare che durante la sua vicenda plurisecolare (sorse nel XII secolo per terminare solo nel 1908) il tribunale cambiò molte volte; e molto differenti da luogo a luogo furono i suoi modi di agire. [caption id="attachment_67413" align="aligncenter" width="676"] Édouard Moyse: "Inquisition" (1880)[/caption] Di certo, ciò che ripugna alle moderne coscienze laiche è che l'Inquisizione fu senza dubbio un tribunale che giudicava le idee. Ma che queste debbano essere libere e liberamente espresse è appunto un concetto moderno, elaborato lentamente solo a partire dal Settecento e, come sappiamo, ancora oggi ben lontano dall'affermarsi ovunque. Il tribunale dell'Inquisizione non ha una data esatta di nascita. Secondo i più ebbe origine ai tempi di papa Lucio III e dell'imperatore Federico Barbarossa. Siamo alla fine del XII secolo e il pericolo da cui ci si vuole difendere è quello degli eretici. Papato e Impero, pur fra mille contraddizioni, furono generalmente concordi nel combattere movimenti che minavano l'autorità di entrambi. Gli eretici servirono però anche come strumento politico. Quindi a qualcuno,

"Il Villano smascherato, operetta ridicolosa di Girolamo Cirelli" è un manoscritto datato in "Rimini, 24 novembre 1694". G.L Masetti Zannini lo diede alle stampe per la prima volta nel 1967 sulla Rivista di storia dell'agricoltura con il titolo "Un trattato inedito e sconosciuto sulle tradizioni dei contadini romagnoli". E in effetti proprio di questo si tratta: la prima raccolta degli usi e costumi che per secoli hanno regnato nella campagne, soprattutto riminesi.  Gli studiosi sono quasi tutti concordi nell'attribuire l'operetta all'abate Giovanni Antonio Battarra, che l'avrebbe in realtà scritto nel Settecento accanto alla sua celebre "Pratica agraria" (1778),  lavoro che lo fa riconoscere come il pioniere della scienza folcloristica italiana. [caption id="attachment_236732" align="aligncenter" width="780"] Giovanni Antonio Battarra[/caption] "Il villano smascherato" è ancora una vera miniera di informazioni sulle tradizioni contadine, nonostante l'autore le descriva con dileggio e con l'intenzione di satireggiare sulle "malizie" dei campagnoli, dall'alto della sua cultura e del suo essere invece "di città" (l'abate era però nato da un'umile famiglia alla Pedriola di Coriano). Era Vasto spazio trovano le abitudini gastronomiche, come quelle nelle occasioni di festa. Per esempio ai matrimoni «i cibi sono grossolani: carni di bue, vitello e pollami, ma il tutto poco cotto e stagionato», mentre invece le classi alte

Il 23 novembre 1923 nasce a Rimini Veniero Accreman: avvocato, politico e saggista. Sindaco di Rimini fra l'aprile 1957 e il gennaio 1958, durante il suo mandato prese il via la costruzione del grattacielo. E' stato membro della Camera dei Deputati per tre legislature. Si è spento il 27 dicembre del 2016:   https://archivio.chiamamicitta.it/morto-veniero-accreman/   https://archivio.chiamamicitta.it/caro-veniero-bella-testa-quei-capelli/   https://www.chiamamicitta.it/cosi-veniero-ci-salutati/     https://archivio.chiamamicitta.it/visto-veniero-piangere/        

Come scrive Attilio Giusti in "Diario Riminese dal 1930 al 1960",  «Il 22 novembre 1934 si costituisce il Club Nautico di Rimini». Primo presidente è il conte Guido Mattioli Belmonte Cima. La sede del Club è alla foce dell'Ausa. [caption id="attachment_66935" align="aligncenter" width="683"] Guido Mattioli Belmonte Cima[/caption] Nel sito del Club Nautico si legge che il tutto ebbe in realtà inizio «nell’ormai lontano 1933, quando Gaspare Stacchini, socio fondatore del Club, donò alla allora “Società Nautica Rimini” un cutter di m. 6,50 destinato alla scuola di vela nel porticciolo dell’Ausa. L’attività del Club ebbe inizio basandosi essenzialmente sulle regate per barche a deriva e costituì un polo d’attrazione nell’Adriatico, tanto che il rapido sviluppo del Club Nautico Rimini in quegli anni, è documentato da una pubblicazione dell’USVI del 1948 (Unione Società Veliche Italiane, quella che oggi è la Federazione Italiana Vela) dove una foto mostra gli “Snipe”‘ all’ormeggio nel porticciolo della “Società Nautica Rimini”». Modello e antagonista sulle prime è Trieste, con la sua intensa attività di regate nell'Adriatico. Ma presto «le Jole olimpiche, le derive nazionali-olimpiche, i dinghies 12 piedi, intrecciarono una miriade di rapporti che pian piano portarono i colori del Club Nautico agli appuntamenti più importanti della Vela nazionale, fino a

Il 21 novembre  1945 il Comune di Rimini completa la relazione contenente i «Dati statistici delle distruzioni di guerra al centro urbano di Rimini». La relazione viene inviata al Governo il 27 dello stesso mese. In sintesi, la relazione così elencava  i danni: il 75% dei fabbricati distrutti o inagibili; l’acquedotto comunale inutilizzabile; l’ospedale civile parzialmente distrutto e privo di attrezzature; il cimitero impraticabile con diverse tumulazioni scoperte; i ponti stradali e ferroviari quasi tutti annientati e danneggiati; la stazione ferroviaria e le linee secondarie distrutte e prive di materiale; la filovia Rimini-Riccione inutilizzabile per la distruzione  delle carrozze e per l’asportazione delle linee aeree; gli edifici scolastici quasi tutti crollati; le strade urbane e del forese generalmente deteriorate ed ingombre di macerie; le chiese tutte distrutte, tranne due; gli impianti di gas, luce, telefono, interrotti ed inutilizzabili; l’attrezzatura turistico-balneare, annientata per i 4/5; l’agricoltura danneggiata gravemente; i cantieri navali distrutti e la flotta peschereccia totalmente affondata; il teatro comunale parzialmente distrutto. Su 72 mila residenti, 43 mila erano senza casa.  Su 121.500 vani censiti prima della guerra, 109.350 risultavano distrutti o inabitabili. Urgeva un piano regolatore per la ricostruzione. Il primo a essere redatto fu quello dell'architetto Ernesto La Padula; docente a Roma, fra

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