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Solo nel 1673, dopo decenni di disperate richieste da parte della popolazionee dfei suoi rappresentanti locali, lo Stato della Chiesa si decise a costruire sei torri di avvistamento da Cattolica a Bellaria. Sono le torri che dovevano servire a difendersi dai pirati (ma anche da molto altro) e che verranno chiamate “saracene”. In realtà in quegli anni il pericolo più costante non era venuto dai corsari musulmani, la cui base più prossima era a Dulcigno (in albanese Ulqin, in serbo-croato Ulcinj, oggi in Montenegro), bensì dai ben più vicini Uscocchi, cattolicissimi e con il covo a Segna (Senj), presso Fiume. [caption id="attachment_49771" align="alignnone" width="1310"] La fortezza di Segna, covo dei corsari Uscocchi[/caption] Gli Uscocchi erano croati, serbi e bosniaci fuggiti dal dominio ottomano, ma anche sbandati di ogni provenienza e risma, cui l’Impero asburgico aveva concesso protezione ai primi del ‘500: in teoria per fronteggiare i Turchi, in pratica per molestare Venezia e tutta la costa adriatica occidentale, Stato della Chiesa compreso. Abbordaggi di navigli, ma anche razzie sulla terraferma con rapimenti di gente da ridurre in schiavitù o per cui chiedere un riscatto, fra ‘500 e ‘600 erano divenuti tristi consuetudini anche sulle coste romagnole. Venezia dovette combattere contro gli Austriaci ben due “guerre degli Uscocchi”, ottenendo alla fine che il

L'arianesimo, la dottrina cristiana che metteva in dubbio la natura divina di Gesù, ebbe fortuna in particolare sotto gli imperatori Costanzo II (figlio di Costantino I, 337-361) e Valente (364-378). Costanzo, al contrario dei fratelli Costante e Costantino II, era di tendenze ariane anche perché erano queste che stavano prevalendo nella capitale Costantinopoli. Costanzo convocò molti concili provinciali (o sinodi) deputati a definire il Credo cristiano: Sirmio (351), Arles (353), Milano (355), Sirmio II (357), Rimini e Seleucia (359) e infine Costantinopoli (360). Il più importante, per gli effetti che provocò in Occidente, fu quello di Sirmio II del 357, al quale parteciparono solamente vescovi d'oriente (in prevalenza ariani) e che mise al bando i termini quali ousìa ("sostanza") e consustanzialità ("identità di sostanza e di natura nelle tre persone della SS. Trinità"). I vescovi d'Occidente (più vicini alla chiesa di Roma e fedeli al Credo niceno, cioè la formula di fede fissata nel concilio di Nicea voluto da Costantino I "il grande" nel 326), manifestarono il loro dissenso: al che Papa Liberio e Ossio vescovo di Cordova furono imprigionati e costretti a sottoscrivere alle decisioni di Sirmio (l'attuale Sremska Mitrovica in Serbia, a cavallo fra l'impero d'Oriente e quello d'Occidente). Interviene a quel punto il Concilio di

Il 20 luglio 2015 Rimini saluta per l'ultima volta Sergio Ceccarelli, preside del Liceo Classico "Giulio Cesare" dal 1968 al 1989; era deceduto il 17 luglio, alla vigilia del suo novantaquattresimo compleanno, essendo nato a Rimini il 18 luglio 1921. Riportiamo stralci della cronaca di quel giorno e il ricordo del Preside Ceccarelli dall'articolo di Claudio Monti, pubblicato su Riminiduepuntozero. Rimini, 20 luglio 2015. Tanta gente questa mattina a dare l’ultimo saluto a Sergio Ceccarelli nella chiesa di Sant’Agostino. Il vicario generale, don Luigi Ricci, in apertura ha letto il messaggio del vescovo, mons. Lambiasi, che si è scusato per non poter essere presente e che ha ricordato il primo incontro con Ceccarelli: “Sono un vecchio amico di Alberto Marvelli”, gli disse presentandosi. “In quelle parole mi colpì quel verbo al tempo presente: sono, sono un amico”, ha commentato il vescovo, evidenziando la “confidenza con Alberto, che non solo il tempo non aveva potuto scolorire e neppure la morte cancellare, ma che la fede aveva fatto diventare un legame ancora più vivo e tenace”. L’omelia è stata tenuta da don Carlo Rusconi. In chiesa gli otto figli, i ventitrè nipoti e i pronipoti di Ceccarelli, e sono stati loro a delineare, al termine della

L'11 maggio 2019  è morto a 78 anni Gianni De Michelis, uomo politico socialista e più volte ministro. Un personaggio molto noto anche per la sua passione incontenibile per il ballo, che lo aveva portato a considerare i locali di Rimini e della riviera come altrettante sue seconde case. Il 19 luglio 1988, Laura Laurenzi scrive per La Repubblica un lungo servizio in titolato QUANTE BELLE DONNE PER DE MICHELIS 'GRAN RE DELLE NOTTI'.  Ne riportiamo ampi stralci: RIMINI. Onorevole, come si sente? Onorevole, ma non si vergogna almeno un po'? Mi vergogno come un ladro, sorride affannato e umido di sudore De Michelis. Lo assediano ragazze in microgonna e vari onorevoli socialisti. Anche un ministro, anche un sottosegretario. Eppure l'ha voluta lui questa notte esagerata, tutta questa gran sarabanda autocelebrativa, questo can can politico-mondano nella maxi discoteca più famosa d' Italia, il Bandiera Gialla, scelto per la presentazione ufficiale del suo libro. No, non è un trattato di politica, non è un saggio sull'annullamento del fiscal drag o sul debito pubblico l'opera che il vicepresidente del Consiglio ha dato alle stampe, bensì un manuale sulle discoteche italiane, una guida ragionata alle 250 balere più divertenti d' Italia. Titolo del volume: Dove andiamo a

Nei pressi del fiume Allia, il 18 luglio 390 a.C. (o 388, secondo altri) i Romani affrontarono i Galli Senoni e vennero disastrosamente sconfitti. Lo stesso giorno, alla disfatta sul campo succedette il sacco di Roma ormai indifesa. Un drammatico affronto che non si sarebbe più ripetuto se non oltre 800 anni dopo, nel 410 d.C. per mano dei Visigoti di Alarico. [caption id="attachment_49076" align="aligncenter" width="678"] Evariste Vital Luminais (1821-96): "I Galli in vista di Roma"[/caption] È questa una delle poche certezze che riguardano la pagina più nera di Roma, quando per l'unica volta era stata violata dallo straniero. Quella data, infatti, verrà ricordata nel calendario dell'Urbe come "giorno nefasto" (contrassegnato con una N) in cui non era lecito sacrificare, iniziare imprese di alcun tipo, trattare affari giudiziari, o alcuna azione che non fosse strettamente necessaria, né in pubblico né in privato. Quando fu istituito il «dies alliensis» - probabilmente già nel 389 a.C. - le stesse proibizioni vennero estese a tutti i giorni dell'anno che seguivano le calende, le idi o le none. Tanto la Clades Gallica, la "sconfitta gallica", si era incisa nella memoria dei Romani. E quasi a conferma di quei timori, il 18 luglio del 64 d.C. sarebbe scoppiato il grande incendio di Roma, quello "di Nerone". [caption id="attachment_49064"

«MCCCLXXII el die XVII de Luglio, foe di Sabato in ora de vespro, morì el gran Signore el magnifico Malatesta mis. Malatesta Ungaro, et stette infermo XVIII dì, et fu sepulto la domeniga mattina cum grandissimo onore». Così l'anonimo "cronista malatestiano". Galeotto de Malatestis, detto Malatesta Ungaro era nato a Rimini nel giugno 1327 dal matrimonio tra Malatesta detto l'Antico (o Guastafamiglia) e Costanza Ondedei, della nobile famiglia presente anche a Pesaro e Saludecio. Battezzato come Galeotto, nel 1347 divenne per tutti Malatesta Ungaro in onore del re d'Ungheria Luigi d'Angiò, che passando da Rimini lo ordinò cavaliere. [caption id="attachment_48886" align="aligncenter" width="678"] Luigi d'Angiò. re d'Ungheria[/caption] Le cronache dell'epoca - e non solo quelle "di regime" dettate dalla famiglia dei Malatesti, ma anche le narrazioni neutrali e perfino dei rivali - dànno dell'Ungaro una descrizione opposta a quella a tinte fosche spettata al padre, che si era ampiamente meritato il soprannome di Guastafamiglia. Il giovane Galeotto è invece prestante, leale, colto, virtuoso e valoroso. Insomma, un gentiluomo "cortese" che incarnava alla perfezione i migliori ideali del tardo medio evo. L'Ungaro trascorse la giovinezza nel mestiere delle armi sotto la guida del malfamato padre e dell'omonimo zio Galeotto, insieme con il fratello primogenito Pandolfo (II), futuro signore di Pesaro. Partecipò all'ampliamento della potenza malatestiana nella Marca;

Carlo Tonini: "Ma nel luglio del 1619, e precisamente nei giorni 16 e 18, una più giusta, cagione di tristezza e di paura si ebbero i padri nostri, essendosi fatte sentire replicate scosse di terremoto, per le quali la campana dell’orologio, che era sulla torre della piazza della Fontana, martellò, come dice il Pedroni, quattro o cinque volte. Onde il popolo tutto prese ad implorare la divina misericordia, e il 19 fu fatta un’assai divota processione alla chiesa di S. Giuliano, ove riposa il corpo di questo santo martire, uno de’ principali protettori della città". Un anno davvero infausto: "Nell’ agosto cessò di vivere il giureconsulto Alessandro Gambalunga, lasciando di sè memoria imperitura coll’aver decorata la città, fin dal 1613, del superbo palazzo e della celebre Biblioteca, che portano il suo nome. Poi nel settembre si ebbe vento, pioggia, grandine, in mare e in terra, e dopo tutto quel gran diavolio il terremoto di nuovo: ma, la Dio mercè, senza notevoli danni". Così Oreste Delucca ha rievocato questa e altre calamità: Sono stati numerosi, durante i secoli, i terremoti che hanno colpito Rimini e il suo territorio, in maniera più o meno devastante. Il primo evento funesto descritto con qualche particolare risale al 1308 e ne abbiamo già parlato. Ma qualche anno prima, esattamente nel 1302 – come

Il vescovo di Rimini, Monsignor Vincenzo Ferretti, presente all'incoronazione a Re d'Italia di Napoleone Bonaparte,  aveva chiesto di persona al sovrano che la chiesa conventuale di San Francesco, il Tempio Malatestiano, diventasse la cattedrale della città. Sua Maestà l'Imperatore si era detto d'accordo. Perché il provvedimento andasse ad effetto, però, dovettero passare quattro anni. Come scrisse Carlo Tonini: «Onde nell’agosto (1805) si presero a fare tutti gli atti e provvedimenti acconci all’effettuazione del decreto medesimo, sebbene il trasferimento definitivo della Cattedrale dalla chiesa di S. Agostino ad esso Tempio non si facesse prima del 15 luglio 1809». [caption id="attachment_48741" align="alignnone" width="1290"] L'interno della chiesa di S.Agostino a Rimini[/caption] Commenta e aggiunge lo storico riminese: «E certamente non sarebbesi potuto scegliere a tale effetto altro luogo più decoroso e più adatto. La vicina piccola chiesa di S. Giuseppe in vigore dello stesso decreto fu destinata pel Battistero, e furono concessi per il coro gli stalli della chiesa dei Lateranensi (lo spendido coro intarsiato della chiesa conventuale di San Marino detta oggi popolarmente Santa Rita, ndr). Inoltre, secondo un ordine governativo, i Canonici furono ridotti ad otto con un arciprete in luogo del Preposto, e i Mansionari a sei: e pel mantenimento della Cattedrale furono

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