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Alvaro Ricci: "Viserba. Il cuore e l’anima" - In proprio. Abituato, per mestiere, a leggere libri di ogni tipo, di fronte ad una pubblicazione come questa devo decidere se metterla fra quelle inutili o, con un piccolo sforzo, fra quelle che possono essere utili. Utili a cosa? A disegnare una piccola comunità come quella di Viserba a cavallo degli anni del boom economico e della crescita impetuosa del turismo. Per intenderci dalla fine degli anni ’60. Un disegno antropologico dei protagonisti di quella stagione, tutti presenti: il bagnino, l’albergatore, il ristoratore, il negoziante, il barista. Del resto l’Autore, Alvaro Ricci, questo libro l’ha scritto, pubblicato e regalato. Come scrive nella Prefazione “questo libro vuole essere un omaggio alla gente del nostro paese, a quelli che, dal Dopoguerra in avanti hanno veramente, col cuore, con l’anima e con le braccia, fatto grande Viserba”. Nato nel 1941, “andavo ancora a scuola quando, in estate, ho iniziato a ‘fare la stagione’: era il 1955. Da allora ho sempre lavorato in un bar, in Piazza Pascoli fino al 1961, poi al Bar Turismo, dapprima come cameriere e dal 1975 come gestore”, sino al 2008. “In questi 53 anni, dei quali 33 come titolare, ho conosciuto praticamente tutti

Marco Valeriani: "Il soldato “Catullo”. La micro-storia del fante mitragliere Getulio Giuseppe Tamburini" - Comune di San Clemente. Cogliamo l’occasione della pubblicazione di questo volume dedicato al “soldato Catullo” da parte del Comune di San Clemente per tracciare un piccolo bilancio dei volumi editi nel riminese in occasione dei cento anni dalla Prima Guerra Mondiale (1915-1918). Bilancio deludente, va detto subito. Unica eccezione il volume di Davide Bagnaresi (“Vivere a Rimini negli anni della Grande Guerra : la quotidianità tra bombardamenti, terremoti, fame e profughi”) (Panozzo, 2015) per conto dell’Istituto Storico della Resistenza (che allestì anche nelle sale FAR in Piazza Cavour una grande mostra). Il volume conta inoltre sul ricco apparato iconografico proveniente dai fondi dell’avv. Alessandro Catrani. Poco altro oltre a questo volume: l’”Albo d'oro dei caduti corianesi militari nel corso della prima guerra mondiale 1915-1918” a cura di Vincenzo e Barbara Santolini, Roberto Ridolfi (La Tipografia, 2015); “La Grande guerra e San Clemente” di Maurizio Casadei (La Piazza, 2015); un paio di articoli di Manlio Masini su “Ariminum” (nn. 2 e 3 del 2015). Poi nient’altro sino a questo volume di Valeriani. In quattro anni è sicuramente molto poco. Ci si attendeva, come in molte altre province, una raccolta delle lettere

Giuseppe Lo Magro: "Ho fatto 13. E volendo … quattordici! Raccolta di commedie riccionesi" - Famija Arciunesa. C’è una cosa che non ho capito e che dovrò chiedere necessariamente a Giuseppe Lo Magro: perché i testi delle sue commedie dialettali sono pubblicati in questo volume solo in italiano. Le commedie in vernacolo di Giuseppe è ormai quarant’anni che vengono rappresentate sui palcoscenici della Romagna da diverse compagnie (“l’Arciunis”, “Attori in corso”, “Almadira”, “Rungaja”). E l’immediatezza del dialetto non è mai reso a sufficienza in una traduzione in italiano. E’ un peccato, perché poteva essere anche l’occasione di avere una raccolta di testi in dialetto riccionese di cui non si hanno grandi tracce. Lo Magro, classe 1945, riccionese doc, è figura eclettica di operatore culturale (da autore e attore delle sue commedie a scrittore di poesie in italiano, da raccoglitore di motti e detti dialettali che ha editato a presidente di Famija Arciunesa, redattore della sua rivista trimestrale nonché curatore editoriale delle sue numerose pubblicazioni storico e dialettali, tra i fondatori della “Congrega de dialèt arciunes”). Tutte le sue commedie sono ambientate a Riccione e “spesso nello svolgimento delle azioni sono indicati luoghi conosciuti della Perla Verde. Hanno la caratteristica che i personaggi, gli

Attilio Giusti: "Rimini perché. Almanacco illustrato dal 1900 al 2030" - Digitalprint. Al di là degli autori che hanno scritto, è giusto che questo volume abbia in alto in copertina l’Autore che lo ha voluto e realizzato: Attilio Giusti, tipografo riminese, 80 anni. Attilio ama Rimini e le sue foto, che la ritraggono in continua evoluzione nel tempo. Un vero e proprio album fotografico storico di Rimini. In questo grande Almanacco ne ha pubblicate oltre 1.300, attingendo a collezioni private (quelle di Alessandro Catrani, Luciano Liuzzi, Emilio Salvatori. Giorgio Deangeli, Leonardo Fazzioli) e a quelle di istituti culturali (gli archivi fotografici della Biblioteca Gambalunga, del Museo della Città, dell’Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea della Provincia di Rimini). Molte fotografie sono state già viste, ma tantissime altre sono inedite: da quelle splendide dalle collezioni di Catrani della Rimini degli anni Venti e Trenta a quelle del mondo politico e amministrativo del dopoguerra provenienti dall’Istituto Storico della Resistenza. Ho visto tanti amici sfogliare questo volume e perdersi nella visione di queste foto, dando ragione a Giusti che ne ha volute così tante e diverse. Giusti ha posto in apertura del volume questo incipit: “Solo il passato è certezza e l’operazione di esorcizzarlo,

Lorenzo Valenti: "Criminalità e giustizia nel Montefeltro romagnolo. Una regione appenninica nel periodo post-unitario" - Il Ponte Vecchio. Una immersione negli anni post-unitari (il trentennio 1860-1890) in una zona periferica del Paese, il Montefeltro, rurale e violento. E’ questo il quadro storico che l’avv. Lorenzo Valenti, Sindaco di Pennabilli dal 2011 al 2016, ci propone con questo volume. Frutto soprattutto di uno spoglio di circa 1.200 fascicoli penali degli anni 1860-1875 relativi ai reati commessi nei Mandamenti delle Preture di San Leo, Pennabilli e Sant'Agata Feltria e depositati presso l’Archivio di Stato di Urbino. Un territorio che comprende 12 comuni e che nel 1871 contava complessivamente circa 26.000 abitanti. Quello che emerge è “una criminalità periferica, rurale e di frontiera”. “I territori dei quali ci occupiamo sono segnalati come quelli in cui vi sono le peggiori condizioni di vita: la popolazione si trova in uno stato di inferiorità per la povertà dei mezzi di sussistenza, per la scarsa alimentazione, per l’analfabetismo, per un generale stato di arretratezza”. Nel quindicennio indagato sulle carte delle tre Preture si contano 32 casi di omicidi e 30 tentati omicidi. Valenti indaga inoltre i casi di violenza privata (soprattutto all’interno delle famiglie povere), di infanticidio, di violenze sessuali, oltre ai casi

Giorgio Giovagnoli: "Il racconto della Pedrolara"- Raffaelli. Da tempo sto scrivendo per Chiamamicitta.it un mio personale dizionario biografico di comunisti riminesi, impegnati nel Partito e nelle pubbliche amministrazioni. Molti di questi provenivano dai settori più umili della società, con un livello d’istruzione assai basso. Eppure sono stati grandi dirigenti politici a livello locale e ottimi amministratori pubblici, guidando ed ascoltando i propri iscritti, i propri elettori, la gente che li circondava. Del resto ho sempre sostenuto che l’Italia che conosciamo è frutto anche loro, capaci di costruire progetti condivisi per il bene del Paese. Il PCI è stata una grande scuola politica, grazie ai suoi dirigenti e ai suoi militanti che sapevano ascoltare e farsi ascoltare. Ma che erano parte di un progetto di riscatto comune. Perché questa premessa? Con Giorgio Giovagnoli condivido la responsabilità di aver scritto la storia del PCI riminese: Lui per la parte fondativa e di resistenza al fascismo (“Storia del Partito comunista nel Riminese, 1921/1940 : origini, lotte e iniziative politiche” Maggioli, 1981); io per i decenni della Repubblica (“La Federazione comunista riminese, 1949-1991” Capitani, 1999). Ora Giorgio in questa sua nuova fatica letteraria ci racconta di un piccolo mondo di campagna, la Pedrolara in quel di Coriano,

Valeria De Tommaso: "AMIR. Una storia che scorre. Dalla sorgente alla rete" - AMIR. Non è facile scrivere un volume di ampia divulgazione su un tema complesso come è quello dell’approvvigionamento idrico della nostra Città e dell’Azienda che per oltre mezzo secolo vi ha provveduto, l’AMIR. Devo dire che Valeria De Tommaso, ex giornalista de La Voce, c’è riuscita, costruendo un’opera preziosa in cui ha sintetizzato (sfruttando anche l’ampia produzione editoriale sul tema che l’AMIR ha prodotto nel corso dei decenni) le vicende del rifornimento idrico dall’epoca romana ad oggi e ripercorrendo le tappe aziendali dell’AMIR dal 1965 (anno della sua nascita) fino a questi ultimi mesi. Grazie alla memoria e all’archivio dell’ing. Giorgio Giuliani, direttore generale dell’azienda dal 1986 al 2002. E a interviste mirate agli ultimi presidenti, quelli dalla trasformazione in società per azioni di AMIR nel 1995: Giancarlo Zoffoli (presidente dal 1995 al 2001), Paolo Zaghini (dal 2001 al 2004), Rodolfo Pasini (dal 2004 al 2013), Alberto Brighi (amministratore unico dal 2013 al 2016), Alessandro Rapone (dal 2016 ad oggi). Scrive Rapone: “Nelle sue varie configurazioni, questa azienda ha dimostrato tutte le sue capacità, qualificandosi come esempio virtuoso nel settore pubblico locale. Un’impresa pionieristica che rappresenta un pezzo di storia

Per raccontare questa storia devo necessariamente partire dal luogo di nascita dei tre fratelli Arcangeli: la Castellaccia, in dialetto "la Castlaza”. E’ l'antico nucleo del Rione Ducale, fra il Corso d’Augusto, il vecchio Ospedale, Via XXIII settembre 1845 e il fiume Marecchia. Dall’altra parte del fiume, il Borgo San Giuliano. Un rione malfamato, noto per le sue cinque “case chiuse” in Via Clodia, le sue bettole animate, il dormitorio comunale rifugio di una umanità derelitta. Ma qui era anche l’Ospedale (oggi sede dei Musei Comunali), ricavato dal grande ex convento dei Gesuiti. Qui viveva fra i suoi abitanti una forte tradizione antifascista, che portò numerosi suoi giovani ad essere combattenti partigiani. Un'umanità fatta di tantissimi piccoli artigiani e ambulanti commercianti. Ma anche di laboratori di falegnameria, con artigiani di valore. [caption id="attachment_124663" align="aligncenter" width="795"] 1 - 8 settembre 1947. Gino Arcangeli riceve il Diploma di medaglia garibaldina firmato da Pietro Secchia e Luigi Longo[/caption] Guglielmo (nato nel 1924), Gino (nato nel 1926) e Alfredo (nato nel 1929) erano i figli di Salvatore Arcangeli (1897-1971) e Augusta Violani (1895-1981). Il padre, ex carabiniere, svolse poi mansioni presso la pesa comunale e il dormitorio. Lui accanito frequentatore delle osterie, la crescita dei figli si deve soprattutto

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