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Come annota l'"Anonimo Cronista malatestiano", il 21 gennaio 1376 giunge a Rimini da Perugia una grande compagnia di ventura il cui "caporale" era «uno todesco, che se chiamava Mis. Giovanne Aguto». Il Riminesi lo conoscono bene, ancorchè non fosse precisamente "todesco", bensì l'inglese John Hawkwood: una decina di anni prima ha devastato i territori dei Malatesta ed era il più temuto (e pagato) comandante di mercenari a quel tempo operante in Italia. [caption id="attachment_449169" align="aligncenter" width="414"] Lo stemma della compagnia di Giovanni Acuto[/caption] Questa volta, però, l'Acuto è al soldo della Chiesa, quindi dalla stessa parte dei Malatesta. E anche se i mercenari spadroneggiano, «non fenno novetade (in questo caso, "danni") a persona nissuna». Il condottiero consegna invece a Galeotto Malatesta un ostaggio da custodire: l’abate di Montmajeur; dovrà restare a Rimini fino al momento in cui papa Gregorio XI si deciderà ad inviare da Avignone l'ordine di pagamento per gli arretrati che spettano alla compagnia: la bellezza di 130 mila ducati. Così è la guerra delle compagnie di ventura: metà contro il nemico indicato dal contratto (la condotta), metà perché quel contratto sia rispettato e le favolose somme sottoscritte arrivino davvero.  Come costante, l'estorsione. Il mercenario non distingue amici da nemici, ma solo fra chi paga e

"Per Sent'Agnes, la lusertla pr'e paes, Per Sant'Agnese la lucertola (in giro) per il paese: è il desiderio, la voglia di bel tempo. Nell'imolese aggiungono: "Se la i va a coda dréta, u j è dla feva nech par la breca", se ci va a coda ritta c'è della fava anche per l'asina (è un indizio di buon raccolto)". Così Gianni Quondamatteo nel suo E' Luneri rumagnol, (1980). Dunque  i nostri nonni giunti a questo punto dell'inverno non ne potevano davvero più. E si attaccavano al minimo indizio che potesse segnalarne la prossima fine Per scrutare i segnali della natura sceglievano il giorno dedicato alla mite Santa e Martire romana del IV secolo, Agnese appunto, patrona di vergini, fidanzate e giardinieri. Una Santa veneratissima dai primi cristiani che anche a Rimini aveva, ed ha, una chiesa dalle origini molto antiche. Sita nell'attuale via Garibaldi (la Cuntrèda di Magnèn, Contrada dei Magnani, cioè i fabbri), Sant'Agnese è nominata per la prima volta addirittura in un diploma di Ottone III del 6 maggio 996, quale “monasterium sancte Agnetis”; da un documento del 1105 si sa che dava il nome al quartiere circostante. Ma è probabile che la fondazione fosse ancora più remota: come faceva notare Luca Vici su Chiamami Città,  "nella

Il 20 gennaio si commemora San Sebastiano (Narbona, 256 – Roma, 20 gennaio 288) militare romano martire per aver sostenuto la fede cristiana; venerato sia dalla Chiesa cattolica che dalla Chiesa Cristiana Ortodossa, è oggetto di un culto molto antico. [caption id="attachment_449058" align="alignleft" width="1297"] Il San Sebastiano di Liberale da Verona (1490 circa - Milano, Palazzo Brera; in origine in San Domenico di Ancona)[/caption] Secondo la tradizione, Sebastiano (da Sebastos, "venerabile": in greco valeva Augustus) era un importante ufficiale del principale corpo d'élite dell'esercito romano: comandante della Prima Coorte Pretoria, la guardia del corpo dell'Imperatore, unico reparto che poteva aver stanza a Roma. Dunque un altissimo ufficiale, che sarebbe stato giustiziato per flagellazione sotto Diocleziano, dopo essere prodigiosamente sopravvissuto a un primo supplizio in cui era stato crivellato di frecce. [caption id="attachment_449059" align="aligncenter" width="593"] Affresco con San Sebastiano attribuito da Vittorio Sgarbi a Piero della Francesca (deposito del Museo civico di Sansepolcro)[/caption] La sua immagine è stata riprodotta nei secoli da una folla di artisti, compresi i più eccelsi. E' stato eletto a patrono da tappezzieri, polizia locale, sportivi, militari in genere; era invocato contro la peste (le ferite delle frecce simboleggiando i bubboni pestilenziali). [caption id="attachment_449060" align="aligncenter" width="750"] San Sebastiano di Andrea Mantegna (1480 circa, Museo del

"A Gallieno ucciso nel 268, ed a M. Aurelio Claudio morto nel 270, successe Aureliano, che venuto a Roma e d'alcun poco ristorato l'Impero, per la via d'Aquileja si portò contro i Goti che nuovamente infestavano quelle parti. Mentre però ei trionfava di que' Barbari, un'armata di Giutunghi e di Marcomanni prendeva Milano, Piacenza, e si stendeva per l'Emilia e per la Flaminia: nè a tale irruzione potè far argine l'Imperatore se non con due vittorie ottenute l'una verso Pavia l'altra al Metauro presso Fano. Vedi che senza bisogno di speciali memorie siam fatti sicuri che la tempesta barbarica scorse anche le terre nostre": così scriveva Luigi Tonini nella sua "Storia civile e sacra riminese vol.II" del 1856. [caption id="attachment_446671" align="aligncenter" width="800"] La colonna aureliana, eretta a Roma tra il 176 e il 192 d.C. in onore di Marco Aurelio, nell'attuale piazza Colonna, celebra le campagne germaniche e sarmatiche[/caption] E ancora: "In tutti questi fatti, in tutti questi trambusti, egli è possibile che anco Rimini non abbia avuta la sua buona parte meritevole di ricordo? Ma nulla passò nelle Storie che ci son pervenute. Solo una Leggenda degli Atti di S. Leone e di S. Marino scritta nel Secolo XI ci avrebbe

Il 20 gennaio 1920 nasce a Rimini colui che è universalmente riconosciuto come uno dei maggiori registi della storia del cinema. Federico Fellini è figlio di Urbano (1894-1956), un rappresentante originario di Gambettola; la madre, Ida Barbiani (1896-1984), era nata a Roma, del rione Esquilino, ma anche la sua famiglia era di origine romagnola. Il primo talento che il giovane Federico Fellini è quelli del disegno, già mentre frequenta il Liceo classico Giulio Cesare. Realizza vignette e caricature di compagni e professori ispirandosi nel tratto soprattutto al personaggio di Little Nemo, creato dall'americano lo statunitense Winsor McCay. L'altra grande passione era il cinema. Nella sua cameretta immaginava storie e personaggi, mentre ai quattro lati del suo letto aveva dato i nomi degli altrettanti cinematografi di Rimini. E in quei locali fuggiva appena poteva, anche senza avvisare i genitori, come confesserà nel suo libro Quattro film. Nel 1938, ancora prima del diploma, Fellini tenta di far pubblicare i suoi disegni. E in effetti alcune sue vignette appaiono sulla Domenica del Corriere (nella rubrica Cartoline dal pubblico). Più intensa la sua collaborazione con Il 420, settimanale politico-satirico edito da Nerbini. Ai primi del 1939 Federico Fellini lascia Rimini per Roma. Si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, ma non sosterrà mai neppure un esame. È l'inizio di

Guidobaldo Cagnacci (o Cagnaccio, Cagnazzi, Canalassi, Canlassi), nasce  il 19 gennaio (secondo alcuni il 13) 1601 a Santarcangelo. Il padre Matteo, nativo di Casteldurante (l'antico Castel delle Ripe e odierna Urbania), luogo d'origine dei Cagnacci, esercitava per tradizione familiare il mestiere di pellicciaio o conciapelli, con buona disponibilità economica; era inoltre banditore nel comune di Santarcangelo."Di cognome Canlassi per essere uomo obeso, barbuto e tozzo fu detto Cagnacci", scrive un secolo dopo Francesco Maria Niccolò Gabburri nella sua "Vite di pittori" . La madre Livia era figlia di un collega di Matteo, il cesenate Carlo Serra, banditore nel comune di Rimini. Durante l'infanzia dà già prova del suo talento con i pennelli. Il ragazzo viene allora mandato a Bologna per imparare l'arte del pittore. Non si sa chi gli è maestro: secondo alcuni, Guido Reni; per altri, Ludovico Carracci. Al termine dell'apprendistato si reca due volte a Roma, forse al seguito del Guercino. I suoi primi dipinti documentati sono le due tele, la Processione del Santissimo Sacramento e il San Sisto Papa, entrambe conservate presso il Museo di Saludecio e del beato Amato attiguo alla chiesa di San Biagio, del 1627. Nel frattempo la famiglia si è trasferita a Rimini andando ad abitare

Il 19 gennaio la Chiesa cattolica celebra Santa Liberata da Como assieme alla sorella Faustina. Nate secondo la tradizioni nella Rocca d'Olgisio che domina tutt'ora la Val di Taro, nel Piacentino, di cui il padre Giovannato sarebbe stato proprietario, si trasferirono a Como per divenire monache benedettine, sfuggendo così ai matrimoni combinati che si preparavano per loro. [caption id="attachment_130326" align="aligncenter" width="775"] Rocca d'Olgisio[/caption] Pur essendo morte vergini - in quanto tali raffigurate con il giglio - Liberata e Faustina nel nord Italia sono invocate dalle puerpere, dalle balie e a protezione dei neonati. Inoltre l'immagine più comune di Liberata è quella con due o più neonati in braccio, singolarmente simile a quella della Mater Matuta, la divinità romana della maternità. [caption id="attachment_130338" align="aligncenter" width="781"] Santa Liberata in affresco del XV secolo nella chiesa di San Marcello a Paruzzaro (NO)[/caption] [caption id="attachment_130340" align="aligncenter" width="825"] La Mater Matuta[/caption] Ulteriore confusione è data dalla sovrapposizione con un'altra Santa Liberata (Livrade), martire del II secolo venerata soprattutto in Francia e Spagna, che una falsa tradizione voleva morta sulla croce: finì a comporre la singolare leggenda di Santa Vilgefortis (o Wilgefortis, da Virgo fortis). Per aiutarla a preservare la castità, Dio avrebbe esaudito il suo desiderio: assumere l'aspetto più repellente

Nel gennaio del 592 papa Gregorio Magno scrive a Castorio, vescovo di Rimini per «conferirgli facoltà e porgergli istruzioni per la consacrazione di un nuovo Oratorio, che Timotea illustre femmina riminese avea eretto del proprio e voleva dedicare a S. Croce». [caption id="attachment_75193" align="aligncenter" width="681"] Gregorio Magno detta i suoi canti a un monaco benedettino[/caption] Così Luigi Tonini, che aggiunge: «Questa Chiesa, che ebbe poi anche titolo di Monastero di S.Croce e dei SS. Cosma e Damiano, fu Parrocchia fino al 1806, ed oggi (1856, ndr) è nuovamente Oratorio di privata ragione, appartenendo a S. E. il March. Audiface Commendator Diotallevi, allato al Palazzo del quale essa è posta; rinnovata la fabbrica già più volte, ed ultimamente nel 1713 dalla pietà di casa Marcheselli». [caption id="attachment_75182" align="aligncenter" width="907"] Lo stemma dei Diotallevi sulla facciata della Crocina[/caption] Nella stessa missiva papale, si specifica che Timotea dovrà dotare l'Oratorio «con otto once, vale a dire con due terzi di ogni suo avere»; la donazione entrò a far parte degli atti pubblici del municipio, gestis municipalibus alligata. Dopo il 1625, S. Croce fu chiamata ufficialmente "Vecchia" per distinguerla da S. Croce Nuova costruita dalla Confraternita della Santissima Croce, che sorge tutt'ora in via Serpieri. [caption id="attachment_75180" align="aligncenter" width="906"] L'interno di S.

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