Top Stories

Pur avendone viste di tutti i colori nei suoi oltre settant'anni di vita, mai il Senato della Repubblica aveva “ospitato” un'infamia pari a quella consumatasi lo scorso 30 ottobre, quando il marmagliume salvinian-meloniano, con l'aggiunta della ruota di scorta berlusconiana, ha messo in mostra una vergognosa faziosità politica, sbattendo in faccia alla Senatrice Segre l'irrisione verso la proposta – poi accolta dalla maggioranza dei senatori – di creare quella che viene oramai generalmente chiamata la “Commissione contro l'odio”. Il tutto condito con un surplus di ipocrisia, poiché non avendo il coraggio di votare contro, i tre partiti si sono astenuti, ben sapendo che per il regolamento del Senato l'effetto è il medesimo. Dando voce al “tormento” della parte più civile di questo nostro Paese, Liliana Segre, forte del suo “curriculum” di sopravvissuta ad Auschwitz, aveva presentato quel giorno una mozione che si concludeva con la richiesta al Parlamento di istituire una «commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza e razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base di alcune caratteristiche, quali l'etnia, la religione, la provenienza, l'orientamento sessuale, l'identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche». Passi per le

Non ci sono più parole per irridere l'annuale esercizio di demenza statistica a cui per l'ennesima volta, nei giorni scorsi, s'è lasciato andare il Sole 24 Ore, che presto verrà inevitabilmente seguito da Italia Oggi. Per quei due fighettosi quotidiani, Rimini avrebbe oramai consolidato l'irreversibile titolo di vice-capitale italiana del crimine e del malaffare, al cui confronto risulterebbero ben più affidabili e sicure perfino Napoli, Palermo, Caserta e “compagnia sparante”. Tutto questo perché la loro scienza statistica si esaurisce nella peregrina convinzione che il tasso di sicurezza di un singolo territorio sia inversamente proporzionale al numero di denunce che vi vengono presentate alle autorità preposte. E dal momento che in molte zone d'Italia denunciare un “fattaccio”, non al capo mandamento ma a polizia e carabinieri, fa correre il rischio di vedersi bruciare l'auto o il portone di casa, ecco che allora, con buona pace di Saviano, secondo il Sole 24 Ore si vive più sicuri a Scampia che a Miramare. Come se non bastasse, poiché a far testo è il coefficiente ricavato dividendo il numero delle denunce per quello degli abitanti, nel calcolare quello riferito a Rimini, i nostri “statistici per caso” si limitano a considerare i soli suoi residenti in pianta stabile, incuranti

Se ho capito bene, i patiti di astrologia sostengono che il saper convivere con la contraddizione rappresenti un'attitudine zodiacale del segno dei Pesci. Sia come sia, per una di quelle forme di “sdoppiamento interiore” che non mi sono nuove, in questi giorni – vedi l'articolo precedente – mi capita spesso di ingaggiare animate discussioni politiche con me stesso

Riporto un vivace battibecco svoltosi mentre la TV trasmetteva la seduta della Camera sulla fiducia al Governo PD-M5S Interlocutore A (sarcastico-incazzato): «E io che mi illudevo fosse soltanto un brutto sogno, destinato a finire in quattro e quattro otto! Di quelli che al risveglio ti provocano prima un liberatorio sospiro di sollievo, poi il dubbio se all'origine di quell'incubo vi sia Freud o la cofana di trippa al sugo che ti eri fatta fuori a cena, infine la voglia di metterti a cantare 'Volare' di Modugno: “Penso che un sogno così non ritorni mai più”

Nella sua bellissima intervista a “La Stampa” di venerdì, ad un certo punto Papa Francesco afferma: «Sono preoccupato perché sento dei discorsi che assomigliano a quelli di Hitler nel 1934: “Prima noi. Noi, noi”. Sono pensieri che fanno paura. Il sovranismo è chiusura

Le “meteo-preghiere” contro il Pride. Confagricoltura, Coldiretti e CIA hanno finalmente trovato il modo di sconfiggere la sempre più frequente siccità estiva. Basterebbe che ingaggiassero la tenebrosa congrega che la mattina di sabato 27 s'è esibita in una mini-passeggiata in centro «per riparare l'offesa» che di lì a poco avrebbero arrecato alle alte sfere celesti gli «sventurati che parteciperanno alla malaugurata iniziativa» del “Rimini Summer Pride”, la quale «non può non contribuire al degrado morale della città», e giù un contorno di altisonanti espressioni di fede, nonché di speranza nella redenzione di quanti quel pomeriggio si sarebbero macchiati di «atti contro natura». Avevano invitato «tutti gli uomini di buona volontà» (le donne a casa, a fare la calzetta) al loro macho-raduno, pubblicizzato come una processione per il lavaggio del «peccaminoso scandalo», capeggiata da pretoni coi sottanoni lefebvriani, che quando sentono nominare Papa Francesco si fanno il segno della croce non per devozione, ma con l'aggiunta di un “vade retro” fra i denti. L'occulta intenzione di quell'assembramento, in apparenza pio, era però un'altra, più “carognesca”: una sorta di primitiva “danza della pioggia” affinché, più che la forza della fede, fosse quella di un gigantesco temporale a mandare a monte il “Summer Pride”. Pare che

Alle “molestie televisive” che da una anno a questa parte mi procurano i telegiornali Rai, da alcune sere s'è aggiunto un ulteriore motivo di fastidio. I tre minuti di immancabile redazionale “laudativo” sono seguiti, come noto, dalle registrazioni audio-video di Salvini, del suo vice Di Maio e del maggiordomo che a Palazzo Chigi è al loro servizio. Il rituale, che si ripete pari-pari ogni volta, prevede l'iniziale toccata e fuga – un minuto e mezzo – di Conte, nei panni del “buttafuori” che al tempo dei comizi in piazza saliva per primo sul palco ancora vuoto, a scandire: “Uno, due, tre, prova microfono. Ah, ah, ah, si sente laggiù in fondo?” Dopodiché è il turno del cicisbeo grillino, che per ulteriori tre minuti e mezzo ripete a memoria e con buona dizione la quotidiana pappardella preparatagli da Casaleggio o da Casalino. Dulcis in fundo, ecco i sette minuti a disposizione di Salvini, l'effettivo capo del Governo. E così mezzo Tg se n'è bell'e andato. Mentre fino a poco tempo fa i volgari e paranoici sproloqui del triviale tenutario di Palazzo del Viminale colpivano solo me, da un paio di settimane il loro effetto sta riversandosi pure sul mio gatto Pri – non significa repubblicano, ma

È proprio vero: d'estate Rimini non si fa mancare niente. Quasi in concomitanza con la celebre rassegna gastronomica “Al mèni”, s'è svolta a giugno anche “Ac testi!” (traduzione per gli immigrati legaioli che siedono in Consiglio Comunale: “Che teste!”). Una manifestazione in due fasi, pensata per far conoscere il “risotto alla patacagine”, gli “involtini di sciapità” e lo “sformato di superstizione”, i piatti forti della rinomata “Osteria del cocalone”. Perché non creare anche il Comune di San Martino in Riparotta? Teatro della prima fase un bar di Santa Giustina, dove si son dati convegno venti raffinati pensatori, che fra un caffè, due bestemmie, un sorso di Campari e – dice qualcuno – una pletora di lodi al tronfio figuro che tracima di spregevole arroganza al Viminale, hanno preso l'impegno di organizzare indovinate cosa? Una briscola e tressette? Una gita in montagna? Una seratina osè, di nascosto dalle mogli? Quando mai! Loro hanno gettato le basi per creare il Comune autonomo di Santa Giustina, mediante la secessione da Rimini, che sarà incruenta solo se Gnassi farà presto ad arrendersi, uscendo dal municipio a mani alzate. Li capeggia un fioraio del luogo, mentre non è chiaro se sia dei loro anche il grande e amato leader Pino

/