Top Stories

Nel novembre del 1966, quando diciottenne mi iscrissi alla Federazione Giovanile Comunista, Primo Ghirardelli, di sei anni più grande e già un affermato dirigente riminese, era considerato “il giovane talento” della Segreteria del PCI, allora diretta da Checco Alici, cui sarebbe subentrato di lì a poco Zeno Zaffagnini. Tre mesi dopo, allorché Giorgio Giovagnoli subentrò come segretario della FGCI a Loris Soldati partito per il servizio militare e io divenni inaspettatamente il suo vice, fu quasi naturale che Giorgio e Primo diventassero per me una sorta di fratelli maggiori, disposti ad accogliere pazientemente le mie ansie di “parvenu” che si sforzava di non apparire tale. Primo avrebbe poi continuato a garantirmi quel generoso “ruolo fraterno” anche dopo che Giorgio interruppe la quotidiana sua presenza in sede, avendo intrapreso in Municipio quella brillante “strada professionale” per la quale è ancor oggi ricordato e apprezzato. Mi è davvero difficile dipanare il doloroso marasma di ricordi, emozioni e rimpianti in cui mi sento immerso fin dal momento in cui ho avuto la triste notizia che Primo non è più fra noi. Altri si impegneranno a raccontarci il suo percorso politico, i suoi meriti, i suoi successi e le sue delusioni, che pure non sono mancate. Ma

Venerdì scorso, “spatacando” col telecomando, mi sono ritrovato su “La Nove” proprio mentre stava iniziando “Belve”, una trasmissione di interviste a donne “che ce l'hanno fatta” a primeggiare. L'ospite che la bravissima Francesca Fagnani si apprestava a intervistare era Maria Giovanna Maglie, la sfasciacarrozze del giornalismo italiano, la sovranista dal “pensiero sovrappeso” che per stile ricorda un mix tra Salvini e Piercamillo Davigo, mentre come giornalista sembra l'assemblaggio ben riuscito di Feltri, Belpietro e Sallusti. Colei che viene definita, con l'evidente esagerazione di uno dei due aggettivi, «una simpatica stronza» da Giuliano Ferrara, col quale a suo tempo condivise la fuga dal PCI per andare entrambi, dopo una temporanea infatuazione craxiana, a star meglio sotto l'ala di Berlusconi, Bossi e Fini. È per questo che i padroni leghisti della Rai hanno recentemente tentato, senza riuscirci, di affidarle la riedizione di quella “Striscia” a ridosso del Tg che fu un capolavoro giornalistico del loro nemico Enzo Biagi, del quale intendevano così insultare la memoria. Ad un certo punto l'intervistatrice chiede alla Maglie se abbia qualcosa di cui pentirsi o chiedere scusa, ottenendo come risposta un gran “invrucchiamento” di parole che sottintende un sostanziale no. Se fosse stata una di quelle trasmissioni in cui è

Sfidando la scaramanzia, ho conservato per tutto questo tempo un trafiletto del Carlino dell'estate scorsa, in fiduciosa attesa di potermene servire per l'articolo di oggi. Vi è contenuta una dichiarazione fatta all'epoca da Walter Vicario, l'assaltatore berlusconiano della Canonica che è solito aggredire l'avversario con una velocità dovuta al pericolo che, una volta tolta la spoletta al suo pensiero politico, questo possa esplodergli in mano. Nell'occasione, disturbato dalla Festa dell'Unità che si svolgeva in quei giorni, l'ardimentoso combattente dell'Isis (Incazzosi Santarcangiolesi Idolatranti Samorani) s'era lasciato andare alla goduriosa certezza dell'ormai prossima cacciata dei “comunisti” dal Comune: «Lasciamo cantare quelli del PD per l'ultima volta, lasciamo che ballino il loro ultimo tango santarcangiolese. Fra un anno (quando a Santarcangelo si tornerà al voto per le amministrative) saranno i santarcangiolesi a spegnere il PD. Presto la musica cambierà». Il 26 maggio la musica è effettivamente cambiata, ma non per Alice, che la stragrande maggioranza dei cittadini vuole continui a ballare il suo “tango santarcangiolese” per altri cinque anni. Gli elettori, decretando che Vicario debba rimanere fuori dal Consiglio Comunale, hanno invece fatto ballare a lui “l'ultimo tango”: ma più che ad un “tango santarcangiolese” – mi si scusi l'ardire – è sembrato assomigliare a

Com'era già successo in occasione del 150° dell'Unità d'Italia, la diserzione della Lega dalle celebrazioni del 25 Aprile di quest'anno ha conferito un tocco di significato in più alla ricorrenza. Non é però mancato un manipolo di suoi sindaci smaniosi di apparire perfino più zelanti del loro caporione; il quale s'è in fondo limitato, quel giorno, ad una rilassate gitarella pseudo-antimafia in Sicilia, acclamato dall'osannante codazzo cocal-talebano di tanti che fino a ieri erano gli irrisi "terun", omaggiati da lui e dai suoi compari "lumbard" con un simpatico coretto: "Senti che puzza / scappano anche i cani / stanno arrivando i siciliani". Affinché risultasse inequivocabile il loro sfregio al ricordo della Liberazione dal nazifascismo, quei sindaci salviniani hanno finto di voler presenziare alle manifestazioni in programma nelle loro città, ma solo per potersi togliere platealmente la fascia tricolore e darsela a gambe non appena la piazza ha intonato l'immancabile "Bella ciao". Un caso a parte, meritevole di approfondimento psico-politico, s'è verificato a Riccione, protagonista la legaiola “onorevole al bagnasciuga" che è anche assessora comunale con delega alla nullità. Costei, per rendere esplicito quanto poco apprezzi la Resistenza, s'è fatta tutto il corteo in abbigliamento da spaventapasseri, con quei ridicoli jeans bucati alle

Mentre a sinistra è una continua gara a chi si autoproclama “più di sinistra”, diventa sempre meno facile trovare un politico di destra disposto ad ammettere di essere tale. Perfino la Lega, che il 26 maggio si presenterà alleata col fascistume di tutta Europa, non sarebbe «né di destra né di sinistra», stando ad una grottesca affermazione di Salvini; la quale, in quanto a comicità, è superata solo dalla recente trovata dell'ex Papa Ratzinger, secondo cui la piaga della pedofilia nella Chiesa l'avrebbe introdotta il '68. Non c'è dunque da meravigliarsi se a questa sorta di “maquillage elettorale” tenta di ricorrere anche l'esimio Dottor Domenico Samorani, già due volte consigliere comunale d'assalto democristian-berlusconiano nella sua Rimini e oggi aspirante “sindaco in trasferta” a Santarcangelo, forte del fatto di conoscere della città non una ma ben due strade: il percorso tortuoso che dal parcheggio dell'ospedale arriva al casello dell'A14 e la SS 16, che invece lo porta dritto a casa, passando per Santa Giustina. Una candidatura, la sua, arrivata sulla scia di una strumentale campagna di falsità orchestrata da un gruppo di seguaci, blateranti di inventate minacce “di sinistra” al reparto di senologia del Franchini, di cui lui è responsabile. Consapevole del fatto che

Da oggi la rubrica si occuperà delle più eclatanti stravaganze elettorali presenti nei Comuni che andranno al voto a maggio. Oggi cominciamo da Misano. Logica vorrebbe che in politica succedesse un po' come per il football: quasi tutti sono in grado di dare due calci al pallone, ma fra questo e ambire a giocare non dico in Nazionale, ma anche solo in serie D, ce ne passa. Oggi troviamo invece un sacco di stravaganti individui diventati “qualcuno in politica” solo per aver orecchiato qualcosa che con la politica abbia vagamente a che fare. Meglio ancora se qualcosa di mistificatorio (“destra e sinistra non esistono più”; “i politici sono tutti uguali”) o addirittura di denigratorio (“la politica è una cosa sporca”; “è tutto un magna-magna”). Costoro trovano lavoro preferibilmente nell'azienda-partito di cui è proprietario Casaleggio, che ne ricava utili grazie alle tangenti mensili richieste ai suoi dipendenti che siedono in Parlamento, oltre che dalle “cliccate” di tanti fresconi. Ma dalle nostre parti c'è un tipo che, pur partendo da presupposti grilleschi, non ha avuto bisogno di transitare dalla “piattaforma Robespierre” per immettersi sul mercato della politica. Si tratta di Claudio Cecchetto, autopromossosi candidato sindaco di Misano dopo aver inutilmente sperato di poterlo fare a Riccione;

Proviamo a immaginare che fosse stato il leghista Maroni, Ministro dell'Interno dell'ultimo governo Berlusconi, a venire a Rimini per stipulare con Sindaci e Prefetto il famoso “Patto” incentrato sulla certezza che la Questura, dopo un breve passaggio nella sede provvisoria di P.le Bornaccini, grazie al “procurato intervento” dell'Inail avrebbe finalmente trovato casa laddove era fin dall'inizio destinata. Ponendo così fine all'immonda telenovela di Via Ugo Bassi, creata dal “combinato disposto” fra la dabbenaggine di un padrone d'altri tempi e l'incredibile superficialità di quanti, al Viminale, vi hanno negli anni messo mano. Continuando in questo gioco di fantasia, mettiamo che il centrosinistra, una volta subentrato al governo del Paese, con un bel “chissenefrega” avesse indotto l'Inail a ritirirarsi dalla partita; per poi brigare, tramite un sottosegretario PD seguace della teoria “meglio un uovo oggi che una gallina domani”, fino ad arrivare alla stipula di un grazioso contratto diciottennale – alla faccia della sede provvisoria! – con il proprietario dell'immobile di Piazzale Bornaccini, appena un po' meno inadeguato rispetto all'attuale sede della Questura. Sempre con l'immaginazione, retrodatiamo a quel tempo la riunione mattutina del “Comitato provinciale per la sicurezza” del 24 gennaio scorso, che aveva come ordine del giorno: Che ci vuoi fare? Chi

Cisl e Uil non me ne vorranno se dico che l'aspetto più sorprendente dei “selfies sindacali” di sabato – a Rimini davanti alla Questura – sia stato che vi abbia preso parte pure la CGIL. Per quanto motivata con garbo da un cortese documento sulle pensioni, s'è pur sempre trattato di una manifestazione di critica – o quanto meno di “non approvazione” – nei confronti del “governo del cambiamento”, che “ha sconfitto la povertà”. Verso il quale la Signora Segretaria Camusso (pardon, il Signor Segretario: lei vuol essere chiamata così), fino a ieri si complimentava perché «questo governo parla alla nostra gente»; «certe parole chiave parlano al nostro mondo». Per tacere di una sua precedente esternazione che, pur se ha provocato una valanga di fughe dalla CGIL, ha avuto però il merito di procurare tanti nuovi voti a Salvini: «Siamo pronti ad appoggiare il referendum della Lega per l’abolizione della legge Fornero». Ma questo è ancora poco rispetto alla folgorazione post-4 marzo del Compagno Landini, probabile prossimo segretario rosso-giallo-verde della CGIL: «I grillini sanno ascoltarci»; «chi ha votato Lega ha in tasca anche la tessera della Cgil e mi chiede di tenere duro»; «l'operaio Cgil ormai vota Cinquestelle». Perché, allora, questa inaspettata presa di

/